Non c’è niente di male nell’essere un wannabe. Anzi, avere un modello e cercare di assomigliargli è un passaggio fondamentale della vita. L’importante è che rimanga solo una parentesi, che sia una spinta per trovare la propria voce, altrimenti vi trovate a cinquant’anni a fare l’imitatore di Celentano o a fare canzoni di Baglioni al piano bar.
I registi Gerard Bush e Christopher Renz con Antebellum sfornano una pellicola che wannabe ce l’ha scritto in faccia, a partire dai primi fotogrammi. Anzi, a dir la verità la dichiarazione di intenti arriva ancora prima, a livello subliminale, in quel tema musicale dell’incipit che trasuda Jordan Peele da ogni poro cinematografico. Un tema bellissimo e drammatico, perfetto per commentare le immagini in slow-motion tecnicamente magnifiche e dal contenuto straziante. In quelle note così potenti ed evocative degli archi c’è però qualcosa di strano, qualcosa di contemporaneamente minaccioso, proprio come è successo spesso nelle musiche del regista di Get Out e Us. Insomma, qualcosa che ci suggerisce che no, non è tutto di fronte ai nostri occhi, che c’è qualcosa sotto la superficie che faremmo bene a temere.
La prima parte di Antebellum è il racconto di una pagina della Storia americana che oggi non possiamo non considerare vergognosa e inaccettabile, quella dello schiavismo dei neri e del suprematismo bianco. Una vergogna che, assieme a tanto altro, ha trovato sfogo nella Guerra di Secessione Americana ed è stata superata, almeno formalmente, con l’abolizione della schiavitù. E la storia inizia proprio in un’accampamento dell’esercito confederato, dove la popolazione nera non gode di alcun diritto, nemmeno quello di parola, ed è impiegata ad uso e consumo (di qualunque tipo) dei soldati bianchi. Per quanto sia ignobile quello che sappiamo essere accaduto in realtà, l’impressione è che tutto quello che ci viene raccontato in questa parte di Antebellum sia in qualche modo un po’ oltre, che ci sia un grado di cattiveria in più. La nostra protagonista Eden che viene marchiata a fuoco dal Generale per i motivi futili, la moglie di uno schiavo che viene uccisa a sangue freddo per una semplice dimostrazione di superiorità, la garritta che viene usata come forno crematorio. Insomma, uno storico probabilmente potrebbe aggiungere a questa lista ben di peggio, ma l’impressione è appunto che qualcosa qui non torni del tutto, che ci sia qualcosa acquattato nell’ombra che aspetta solo di fare il balzo in avanti.
Finché Eden, dopo l’ennesimo, svilente rapporto forzato col Generale, si risveglia al suono di una sveglia. E siamo ai giorni nostri, quello che suona è un cellulare e lei è nel suo letto e fuori dall’incubo. Il suo amorevole marito è a fianco a lei, la figlia pronta e scattante reclama i genitori e lei si chiama Veronica Henley ed è una scrittrice e attivista che si batte per i diritti dei neri. Spiazzante e incredibilmente intrigante. E pure qui c’è scritto Jordan Peele grosso come una casa. Nei primi minuti di questa seconda parte è piuttosto irrilevante quello che succede, perché la nostra mente sarà inevitabilmente impegnata a frullare sulle tante domande e sulle possibili spiegazioni: “Ma allora era un sogno di Veronica”, “Ma no, sarà un sogno di Eden”, “Sì ok, ma Eden non sa manco cos’è un cellulare”, “Allora forse una riflessione sul passato che ritorna?”, “Una metafora sulla condizione mai veramente risolta dei neri in America?”, “Cicli e ricicli storici?”, “Reincarnazione?”, “Maledizione Voodoo?”.
Questo twist estremo per certi versi mi ha ricordato The Perfection, un altro film dal plot acrobatico su cui aleggia sempre lo spirito di Peele data la presenza di Allison Williams (protagonista di Get Out). La seconda parte di Antebellum è comunque abbastanza riuscita, la classica partita a poker con lo spettatore in cui il bluff la fa da padrone e la verità viene sepolta da un sacco di altre informazioni di depistaggio, in modo che scoprire cosa diavolo stia succedendo sia una partita lunga e soddisfacente. La presenza di Elizabeth, l’odiosa dama bianca che assieme alla figlia comprava le schiave come bestie, ci fa scartare l’idea della reincarnazione della protagonista. Passi una reincarnazione, ma due no, non scherziamo. Poi c’è la bambina in ascensore, una scena se vogliamo molto poco verosimile e per certi versi anche un po’ stupida, ma che è comunque un carta paranormale che riesce a spedirci per un po’ su un falsa pista (e a fare anche discretamente paura, ma coi bambini si vince facile). E poi tante altre, a volte fumo negli occhi e a volte in fondo evidenti indizi, come l’uomo misterioso che offre il cocktail al tavolo, il regalo con scritto “Aspettiamo con ansia il tuo ritorno a casa”, la prenotazione del ristorante che viene interrotta dalla misteriosa telefonata.
Fino a qui io ad Antebellum, pur con tutta la sua carica wannabe, ho decisamente voluto bene ed ero certo che gli avrei dato un buon giudizio (per quel che vale, ovviamente). Dal punto di vista “tecnico” è infatti un ottimo film, regia e fotografia sono incredibilmente ben fatte, se non in qualche caso davvero ispirate, e le musiche sono spesso altrettanto riuscite e con un grande potere di coinvolgimento. Il difetto più evidente fino a questo punto, se vogliamo, è solo un approccio un po’ troppo sopra le righe, soprattutto nella recitazione dei personaggi, ma in fondo niente di veramente fastidioso, soprattutto se siete appassionati dei film di genere.
Il vero problema di Antebellum è nella sua terza e ultima parte, nella sceneggiatura. Mi spiace dirla così, sembra il solito “Non mi è piaciuto il finale”. Ma qui non stiamo parlando di quei cinque minuti prima dei titoli di coda che potrebbero essere usciti male, magari perché girati in fretta e furia a causa di una produzione frettolosa che ha tagliato i fondi. Antebellum è chiaramente e intenzionalmente un film tripartito, con le tre parti di lunghezza paragonabili (più o meno mezz’ora l’una) e per forza di cose quella conclusiva avrebbe dovuto essere soddisfacente e ficcante quanto le due precedenti.
Questa parte soffre invece di una fiacchezza e una svogliatezza che non sono scusabili. Insomma, nella prima parte pensavamo di essere ai tempi della Guerra di Secessione, in un accampamento dove alle persone di colore succedevano cose di una violenza fisica e psicologica impensabili, poi nella seconda parte scopriamo che in realtà è pure peggio, che siamo ai giorni nostri e quelle persone sono state rapite da un branco di suprematisti bianchi psicopatici di buona famiglia, che il Generale è in realtà un senatore degli Stati Uniti e che quello è il loro parco di divertimenti, e nella terza parte cosa servi allo spettatore ormai con gli occhi iniettati di sangue e la bava alla bocca? La fuga notturna dei nostri due “schiavi”, un po’ di nascondino nei campi di cotone, una goffa colluttazione con il villain, un’inseguimento a cavallo con la dama trasformatasi in vendicatrice bianca e il grande affresco di Eden/Veronica in mezzo alla rievocazione della battaglia nel Parco Antebellum della Lousiana.
Forse scritto così è persino meglio di come Antebellum è in realtà, ma fidatevi, è una parte che nel film proprio non funziona. Qui ogni spettatore sano di mente avrebbe voluto qualcosa di epico, di teatrale, una rivolta e una vendetta corali degli schiavi contro i loro aguzzini delle classi agiate. Qualcosa di grondante sangue e memorabile quanto lo scontro che veniva innocuamente rappresentato a pochi chilometri da lì. L’unica cosa che ci va vicino è la scena della garritta chiusa e data alle fiamme con i soldati all’interno e quei pochi fotogrammi in cui Eden li lascia bruciare sullo sfondo. Ma è tutto qua, mentre questo semmai avrebbe dovuto essere solo il punto di partenza.
Antebellum è il primo lungometraggio dei due registi Bush e Renz, che sono alla loro opera prima anche come sceneggiatori. Quindi, comunque siano andate le cose a questo giro, anche se la torta è uscita mezza bruciata, io di fronte a questi tentativi credo sia comunque sempre il caso di fare un piccolo applauso di incoraggiamento e aspettare trepidanti la prossima infornata.