Dunque, voi siete seduti sulle vostre comode poltroncine e parte questo film che dal primo fotogramma vi puzza lontano un miglio di cortometraggio di uno studente di cinematografia. Roba di zombi così così, fotografia così così, recitato in modo incerto da attori così così, in una location che non potete fare a meno di chiedervi “Ma in tutto il Giappone, possibile che non ci fosse niente di meglio?”. Roba che diventa metacinematografica dopo due minuti e scombina un po’ le carte, ma non tanto, giusto quanto basta per non farvi uscire dalla sala immediatamente a chiedere il rimborso del biglietto. Insomma, roba che dovrebbe avere scritto “WARNING! LOW BUDGET MOVIE!” scritto in rosso sulla locandina. E passa così mezz’ora, non è proprio tutto da buttare, a tratti si salva, strappa un sorriso e non vi pesa neanche così tanto rimanere, forse perché nella vostra lunga carriera di malati terminali di cinema hai voglia se ne avete viste di porcherie.
O forse è una piccola parte di voi, quella che per gran parte del tempo se ne sta rintanata a fare chissà cosa, e che se vi parlasse più spesso farebbe di voi persone incredibilmente più ricche e felici, che vi dice: “Aspetta”.
“Aspetta”? Che diavolo dici vocina dei miei stivali? Cosa aspetto, qui se va bene al massimo vedo quattro zombi truccati da straccioni che mangiano cervelli fatti di caramelle gommose alla fragola.
“Aspetta”. E voi aspettate.
Poi sullo schermo compare una scritta innocente, come si è visto in un’infinità di film: “Un mese prima”. E con questo flashback cambia tutto. E quanto cambia tutto lo scoprirete solo guardando il film fino all’ultima scena.
Intendiamoci, qui siamo solo all’inizio del cambiamento, ma il gancio è lanciato, voi avete abboccato e adesso un’altra ora in sala non ve la leva nessuno. Il regista si prende tutto il tempo che gli serve per presentare situazione, personaggi e relazioni tra di loro. Alcuni li avete visti prima, altri sono completamente nuovi. Qui vi accorgete che il livello si alza, si continua a sorridere ma c’è qualcosa in più, è chiarissimo. I personaggi sono interessanti, con alcuni entrate già in empatia, volete sapere, volete andare avanti, capire se le cose per loro si metteranno bene o male, insomma ma che diavolo sta succedendo? Prima erano poco più che cani buttati in scena e addestrati ad abbaiare battute, qui sono persone in carne e ossa. Bravi attori anche. Vi dite, Certo, per forza, qui non recitano, sono loro stessi. Loro stessi? Ma se state guardando un film! Sì ma quello era un film nel film, ora sono loro. Loro? Ma siamo al cinema per la miseria! Siete davanti a uno schermo, c’è una macchina da presa, loro non sono loro! Maledizione, come fa tutto questo ad essere opera di un fattone studente di cinematografia che girava quella sottospecie di tesi di laurea! Possibile? Possibile, vi chiedete, che il regista di One Cut of the Dead non si sia mai fumato niente in vita sua e vi stesse prendendo in giro come i boccaloni che siete?
Intanto voi siete sempre in sala, seduti sulle vostre comode poltroncine e per nessuna ragione al mondo ve ne staccherete, almeno non finché qualcuno vi avrà spiegato cosa sta capitando. E le cose ora cominciano a succedere più rapide, la velocità aumenta e in modo perfetto, perché ora è il momento di dirci la verità. Arrivate al tempo e al luogo dove tutto è iniziato, dove si girava quello sgangherato film di zombi che diciamocelo, non si poteva proprio vedere. Ma ora avete più informazioni, ora sapete chi sono, perché sono lì, perché questa assurda squadra deve girare una roba del genere. Perché non si può fermare. E via via altri perché vi saranno chiari, il perché di certe scene, il perché delle incertezze degli attori, il perché di tutto quanto avete visto in quei primi trenta minuti. Sono proprio i “perché” a rendere questa pellicola geniale e incredibilmente divertente. E quando dico divertente, non intendo divertente come Shaun of the dead o Zombieland, che sono ottimi, ottimi film (per tanti versi migliori di questo), ma intendo proprio che riuscirà a farvi ridere come la prima volta che avete visto Frankestein Junior.
Ma non è tutto qui. Se fosse tutto qui, potremmo ancora essere dalle parti del semplice esercizio stilistico meta-meta-metacinematografico da parte di autori estremamente bravi e strafatti di sostanze psicotrope. Il fatto è che One Cut of the Dead coinvolge, emoziona e commuove. Ed è una cosa incredibile come in una commedia-horror che sulla carta rischiava di essere troppo cervellotica, tecnica o da addetti ai lavori, ciò che la faccia da padrone sia invece l’emozione. Come ci sentiamo assieme alla troupe nello sforzo di portare avanti un film inarrestabile e come ci preoccupiamo per uno sforzo ancora più grande, quello di padre e figlia che lottano per riconquistare un rapporto da tempo perduto. Insomma, se a qualcuno di voi nel finale dovesse scendere la lacrimuccia, non ci troverei nulla di strano. Non parlo di me ovviamente, io non mi commuovo dal ’97.
Quando un film centra veramente il suo obiettivo? Quando racconta una buona storia? Quando emoziona? Quando mette in crisi le nostre certezze? Quando ci fa dimenticare che siamo in un cinema? Quando vince il TOHorror Film Fest 2018? Bene, One Cut of the Dead è tutte queste cose ed è un miracolo se si pensa che è stato fatto con ventimila dollari e ne ha guadagnati venti milioni in tutto il mondo.
Forse ora è tardi per dirvi che vi consiglio caldamente di guardare questa pellicola senza leggere o vedere nulla che la riguardi. In questa recensione ho cercato di limitarmi a scrivere le sensazioni che ho avuto guardando il film, più che i suoi dettagli, ma è inevitabile che ora sappiate qualcosa che prima non sapevate. Se siete come me, che considerano anche la locandina del film uno spoiler, non vi rimane che farvi sparaflashare nel più vicino centro specializzato della vostra città.
Beh, questo probabilmente è stato uno dei film più gradevoli del ToHorror. Forse non il migliore, a “sentimento” gli ho preferito Tigers are not Afraid, però sicuramente è stato il più divertente e originale e vederlo in una sala piena di gente che rideva gli ha dato quella marcia in più!
Assolutamente. Ho sempre un po’ il dubbio che il mio entusiasmo totale su questo film sia un po’ drogato dal fatto che ero in sala con tutto il pubblico piegato dalle risate. Tra un annetto lo riguarderò (coinvolgendo qualche malcapitato di turno) e ti farò sapere! Ah, onoratissimo-issimo-issimo di avere la Bolla sul mio piccolo e implume blog appena nato 🙂
[…] hanno addirittura vinto al ToHorror Film Fest di Torino, strameritatamente il primo anno con One Cut of the dead, un po’ meno meritatamente quello dopo (ovviamente a giudizio del sottoscritto) con Zombie […]