THE FURIES – Beetlejuice

THE FURIES

È un gioco.
E c’è un solo modo di uscirne.
Vincere.

Sarebbe ingiusto classificare The Furies come il classico “film da trailer”, cioè quel tipo di film che non ha nessuna ragione di esistere se non quella di estrapolarne quaranta incredibili secondi per farci un trailer fulminante. Piuttosto andrebbe messo nella categoria “film con cui avere molta pazienza”, come quando si è costretti a tenere per mezza giornata un nipotino e dopo un paio d’ore di sana TV ipnotizzante lui si stanca e comincia a sfasciarvi la casa.

The furies - Recensione film - screenshot 1

The Furies è l’opera prima del regista australiano Tony D’aquino e al ToHorror Film Fest 2019 è probabilmente stato il film più horror in senso stretto (e lo è sicuramente tra quelli che ho visto io). Al festival è stato presentato come un film derivativo ma con una sua voce personale. Sul fatto che sia derivativo non c’è alcuno dubbio, ma metà degli horror in fondo lo sono, in particolare quelli come la pellicola di D’Aquino che hanno delle basi fortemente metacinematografiche. Sulla sua voce personale invece io credo che l’unica cosa che si sia sentita sia un grande “Mah”. A meno che non s’intendesse la piega che prende la storia da un certo punto in poi, ma allora sarebbe stato decisamente meglio che una voce non ce l’avesse.

Per qualsiasi amante degli horror, The Furies inizia alla grande e per tutta la prima parte potrebbe convincere davvero che il film farà scintille. Ci troviamo nella situazione classica del finale di uno slasher, con una final girl inseguita dal killer mascherato. Una scena molto carica, quasi ai limiti della caricatura, che sorprende con un piccolo twist quando compare il secondo killer.

The furies - Recensione film - screenshot 3

E il film prosegue con un tono molto interessante per tutta la prima parte, perché c’è la giusta dose di mistero nel vedere queste donne rapite e fatte risvegliare in un bosco isolato e l’altrettanto giusta dose di horror nel vedere gli assassini comparire uno dopo l’altro. E sulla caratterizzazione dei killer, The Furies si gioca il 70% di ciò che rende la pellicola interessante. Ognuno degli assassini ha un costume e un trucco incredibilmente indovinati, che strizzano l’occhio a tutti i serial killer in celluloide che sono passati davanti ai nostri occhi dal ’78 in poi. C’è quello con la maschera da maiale sgozzato, quello con la faccia da gufo e il forcone, quello col viso da manichino, quello che sembra un bambolotto e quello deforme. Insomma, ognuno degli otto killer ha una sua caratteristica distintiva e memorabile, quasi fossero i personaggi di un videogame.

The furies - Recensione film - screenshot 5

Insomma, nel comparto tecnico e a livello estetico il film si difende alla grande. Gli effetti speciali sono tutti rigorosamente non digitali e così estremamente ben fatti da aver vinto il premio “Bloody simple” al ToHorror Film Fest. L’audio è di grandissimo impatto, con un commento sonoro a bassa frequenza che in alcuni momenti è talmente pervasivo da sembrare il nono killer della pellicola. E anche D’Aquino con la macchina da presa è quasi sempre perfettamente a suo agio, con qualche prodezza tecnica qua e là, ma in generale con pulizia e buon gusto (per quanto si possa averne in uno slasher condito di splatter). Persino i dialoghi, considerando il genere, sono piuttosto ben scritti.

The furies - Recensione film - screenshot 2

Dal punto di vista narrativo le cose però funzionano bene solo nella prima parte del film, cioè finché rimane intatta l’aura di mistero. Perché le ragazze si ritrovano in quel posto? Perché la protagonista a volte vede con gli occhi del killer? Perché i killer a volte risparmiano le ragazze? Perché si uccidono tra di loro? Perché Faccia Butterata saluta la protagonista con la mano? La matassa sanguinolenta si dipana con la dovuta calma, svelando un gioco di Belle e di Bestie. Ogni Bestia deve difendere la sua Bella e uccidere le altre sette. Se la sua Bella muore, la testa della Bestia esplode. Voi capite che, per una persona normale, una spiegazione del genere verrebbe con ogni probabilità annoverata tra le grandi sciocchezze che la vita gli ha riservato. Per un amante dell’horror, come me e la stragrande maggioranza di quelli seduti in platea al ToHorror, rimaneva invece ancora tranquillamente categorizzato tra il perfettamente accettabile e l’altamente desiderabile. Dove stanno, per intenderci, film come Final girls e The cabinet in the woods, pellicole metacinematografiche nel senso che omaggiano il genere a cui appartengono.

The furies - Recensione film - screenshot 4

Un problema generale delle storie che pretendono di incollare allo schermo con lo schema “Protagonisti in una situazione assurda che devono scoprire cosa diavolo sta succedendo” è che una volta arrivata la spiegazione, devi sostituire il polo di attrazione con qualcos’altro di degno (sperando che anche la spiegazione lo sia stata). Gli esempi sono centinaia, i più recenti rappresentanti sono The maze runner o Escape Room, che reggono bene perché furbescamente la spiegazione arriva tardissimo (e così limitano i danni). Un film come Cube addirittura sceglie molto saggiamente di non spiegare nulla, evitandosi così qualsiasi problema (eccetto le ire degli spettatori precisini). In The Furies invece le cose cominciano a precipitare non tanto perché una volta scoperte le carte rimanga un iper-slasher, ma perché alla spiegazione viene aggiunta carne al fuoco su carne al fuoco. Gli impianti installati dietro agli occhi delle ragazze e le crisi epilettiche, le sirene che delimitano il perimetro, il finale ormai abusato del gioco per ricchi annoiati e sadici, l’epilogo con la protagonista vendicatrice che trova il Grande Burattinaio tecnologico.

Insomma, se il regista avesse avuto un po’ di sobrietà e un buon amico che gli suggerisse cose sagge tipo “Hey Tony, questa cosa degli impianti è geniale, davvero, ma magari la facciamo un’altra volta, eh?”, avrebbe decisamente giovato a The Furies. Ma è un’opera prima, ben fatta sotto tanti aspetti e che quindi la sua risicata sufficienza horror se la potrebbe portare anche a casa.

Un horror derivativo che fa dell’estetica e del gore il suo punto di forza, ma che fallisce nel voler mettere troppa carne al fuoco
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