Di Tully non sapevo nulla, eccetto il fatto che in locandina ci fosse Charlize Theron (cosa che mi ha immediatamente fatto sospettare che fosse un film con Charlize Theron). Sapevo solo questo e in fondo è già fin troppo, perché il modo giusto per godersi una storia, lo sapete anche voi, è non conoscere niente, ma proprio niente, in anticipo. Ogni anticipazione cambierà inevitabilmente la vostra visione o addirittura la renderà impossibile. Una specie di teorema di indeterminazione di Heisenberg applicato alla narrativa.
La tematica principale di Tully, quella più evidente, è infatti una delle cose più lontane a cui riesca a pensare quando l’intenzione è mettermi comodo sul divano a guardare un film. Una madre, due figli piccoli, uno di questi problematico, un terzo in arrivo, la depressione post-parto. Ma stiamo scherzando? Se immaginate un film del genere fatto in Italia con, che so, Giovanna Mezzogiorno, capite che razza di strazio potrebbe essere e che genere di spettatore dovreste essere per entrare volontariamente in sala (azzardo? Madri con figli piccoli e almeno un inizio di depressione post-parto). Ma Tully è una pellicola di Jason Reitman scritta da Diablo Cody, in sostanza la coppia che sta dietro a Juno e a Young Adult, e questo come capite cambia tutto. Se c’è una cosa che Reitman e Cody dimostrano ogni volta è che non ci sono storie interessanti e storie poco interessanti, ma solo che ci sono modi interessanti e modi poco interessanti di raccontarle. La scrittura di Tully è realistica, intrigante, divertente, ironica, drammatica e ficcante, senza mai avvicinarsi neanche lontanamente ai territori del melodramma e del sentimentalismo. E la regia è come sempre in completa alchimia con questa scrittura, mettendo in scena (quasi) sempre le cose giuste.
Charlize Theron al solito è completamente e incredibilmente nella parte. Ingrassata di quasi venti chili è Marlo, la madre sfiancata fisicamente e psicologicamente che dopo due figli affronta la terza gravidanza, goccia che fa ovviamente traboccare il vaso. La Tully del titolo è invece l’irresistibile Mackenzie Davis, giovanissima tata notturna che in pochissime battute e un paio di sguardi vi avrà già conquistato. Se il film funziona, oltre alla scrittura brillante di Diablo Cody, è proprio merito di queste due attrici e della loro perfetta intesa. Ognuna è lo specchio dell’altra, Marlo che rivede in Tully ciò che è stata in passato e Tully che vede in Marlo ciò che potrà essere in futuro.
Potremmo dire che Tully sta alla maternità come Unbreakable di Shyamalan sta ai superereoi. Viene persa qualsiasi idealizzazione dell’essere madre e del miracolo di avere un figlio. Viene sbattuta in faccia la cruda, stressante, opprimente realtà. Di giornate sempre uguali, di gesti ripetuti alla sfinimento, di pianti notturni e notti in bianco, di pannolini cambiati, pigiamini lavati, cene al microonde, dolori, stanchezza, confusione mentale e incomprensibilità di tutto ciò che è diventata la propria vita. Insomma, diciamocelo, questa è roba che ammazzerebbe un cavallo. Ma non c’è solo questo, questo tutto sommato è qualcosa che a una certa parte del pubblico potrebbe interessare come uno spot dell’INPS (come appunto io stesso pensavo nei miei limiti dell’essere maschio e single). C’è però il tema più universale di tutti, quello a cui nessuno sfugge, il più crudele e spaventoso, più della morte, delle guerre e delle pestilenze. Potete chiamarlo come volete, perdere la giovinezza, adattarsi alla propria età, invecchiare, andare avanti, costruire, ma alla fine è sempre quello e ci siamo dentro tutti: crescere. Ed è lo stesso tema di Young Adult se volete, ma visto da una prospettiva più avanzata, quella di chi è adulto, con tutte le responsabilità, la fatica e la disillusione di esserlo, e non ne capisce l’importanza e la bellezza.
Purtroppo, nonostante tutto il ben di Dio cinematografico di cui il film dispone, Tully qualche difetto ce l’ha e non mi ha convinto come il precedente Young Adult. Qualcuno sicuramente potrebbe trovare il twist troppo prevedibile e quindi liquidare il tutto come un tentativo poco riuscito di stupire. Personalmente ho sospettato il finale quasi subito, dopo poche scene dall’arrivo della tata, e ne ho avuto la certezza a circa metà della storia. Non penso però che l’obiettivo di Reitman e Cody fosse quello, non credo avessero in mente davvero un colpo di scena. Mi sembra che più semplicemente abbiano scelto di raccontare la storia in quel modo, perché più stimolante e accettando il fatto che qualcuno ci sarebbe arrivato prima e qualcun’altro dopo.
Ci sono però altre sbavature un po’ meno soggettive, più che altro a livello di scelte di sceneggiatura. Non credo che una scena in cui Charlize Theron, coi seni doloranti per non aver allattato, si chiude nel bagno di un locale per farsi tirare il latte materno dall’amica possa essere interessante a qualche livello. Forse è qualcosa di realistico, fortunatamente non me ne intendo, ma non aggiunge nulla alla storia, la ritarda e aggiunge un po’ di confusione e disagio in un punto in cui la storia dovrebbe decollare. Ecco, probabilmente il difetto generale di Tully è questo non riuscire a spiccare mai veramente il volo, rimanendo sempre un po’ a mezz’aria nonostante la coppia Theron-Davis e la scrittura ispirata dei loro personaggi siano da scintille. E anche nel finale tira questa stessa aria, con una morale un po’ troppo ordinaria a corollario che non aiuta particolarmente.
Tirando le somme, Tully è un film che se amate il cinema ben scritto, vi dovete fare il favore di guardare. Probabilmente non vi farà venire voglia di diventare mamme, ma neanche ve la farà passare. Sicuramente a tutti quanti farà venir voglia di assumere una tata notturna.