PIG – Beetlejuice

PIG

“Abbiamo ricevuto una lettera da qualcuno
che sostiene di essere l’assassino.
Dice di chiamarsi “Pig”.
Ed è orgoglioso del suo lavoro”
Pig | Recensione flm

Prendete Alessandro Haber, ma con un sacco di barba e capelli in più. Immaginatevi che sia un regista iraniano profondamente ansioso, egocentrico e affetto da manie di protagonismo. Immaginatevi che faccia il regista di film horror in un paese dove la censura governativa da anni gli ha vietato di fare film. Provate anche a immaginare lo stato d’animo di questo regista, costretto a girare miserevoli spot televisivi, quando l’attrice di cui è innamorato decide di lavorare con un regista insopportabile e non censurato. Fate un ultimo sforzo e immaginate che il contesto del film oltre a essere, come avrete già capito, profondamente politico, preveda anche la presenza di un serial killer di registi, che li decapita dopo aver inciso la parola “Pig” sulla loro fronte. Ce l’avete fatta? Ecco, questo è Pig, la commedia che l’iraniano Mani Haghighi  scrive e dirige con buon ritmo e originalità.

Pig | Recensione flm

A partire dal protagonista e le sue magliette assurdamente rock, i personaggi principali di Pig sono divertenti, ben scritti e con facce che parlano da sole. Il film è molto dialogato, forse in certi casi addirittura didascalico, ma alcuni di questi dialoghi sono davvero memorabili e soprattutto ottimamente messi in scena (uno su tutti quello tra il protagonista e l’ispettore capo, con la sua irragionevole insistenza nell’offrire il melone o l’acqua). Pig è quel tipo di thriller dove il serial killer non si vede sostanzialmente mai, ne vediamo solo gli effetti sotto forma di una serie di teste mozzate, ma la cosa non è necessariamente un difetto. Il film si concentra sulla figura del regista, sulle sue ansie nei confronti dell’amante e sopratutto sull’orribile sensazione che il killer lo stia snobbando (provate di nuovo a immaginare, voi siete il più grande regista iraniano, un pericoloso assassino stermina tutti i registi importanti del Paese, e voi siete vivi e vegeti. E’ peggio degli incubi che aveva Di Caprio per l’Oscar no?).

Purtroppo è nel finale, in particolare negli ultimi dieci minuti, che la pellicola ha un tonfo. Data la presenza di un killer che compie delitti efferati, sarebbe stato lecito aspettarsi un finale degno di un thriller, senza necessariamente allontanarsi dallo spirito della commedia. Il regista in effetti sembra fare un mezzo passo in questa direzione, ma in questo caso il tono leggero gli sfugge di mano e svolge un pessimo servizio al film, in particolare quando si inserisce la critica ai social network. Al di là del piatto giudizio cinematografico, è un film che ha il grande merito di tentare di avvicinare un po’ la società iraniana alla nostra, mostrandone lati che noi che ci occupiamo degli incubi dorati di Di Caprio ignoriamo bellamente.

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