I AM THE PRETTY THING THAT LIVES IN THE HOUSE – Beetlejuice

I AM THE PRETTY THING THAT LIVES IN THE HOUSE

“Ho sentito me stessa dire che una casa con una morte dentro
non potrà mai più essere comprata o venduta dai vivi
ma solo essere presa in prestito dai fantasmi che vi sono rimasti.

Che camminano avanti e indietro, disperdendosi e poi riunendosi di nuovo,
aggirandosi inquieti sul pavimento in cerchi confusi,
occupandosi delle loro morti come di giardini sconnessi e appassiti.

Sono rimasti per dare uno sguardo fugace agli ultimi istanti delle loro vite,
ma i ricordi delle loro morti sono visi dal lato sbagliato di una finestra bagnata,
offuscata dalla pioggia. Impossibili da distinguere chiaramente.

Nulla li incatena ai luoghi dove i loro corpi sono caduti.
Sono liberi di andarsene e tuttavia decidono di restare prigionieri,
intrappolati dal proprio cercare.
Per coloro che sono rimasti, la vera prigione è il non poter vedere.
E lasciati soli, è così che marciscono.”

Netflix è emblematico di come il digitale riesca a creare non-luoghi che non hanno una vera corrispondenza nella realtà. Insomma, potrebbe mai capitarvi che so, di trovare il vinile originale di The Dark side of the moon in un cestone dell’autogrill, di parlare di origine dell’Universo con Brian Green a un aperitivo sui Navigli o trovare un avocado maturo all’Esselunga? Tutto è possibile, intendiamoci (eccetto la faccenda dell’avocado, quella è assiomatica), ma è davvero estremamente improbabile. Netflix invece è l’esempio perfetto di come la tecnologia digitale riesca con naturalezza a trascendere i limiti della realtà fisica e a permettere al colosso dello streaming di proporre senza vergogna alcuna, in mezzo al frastornante turbinio di film da sciacquone, anche interessantissimi film d’autore.

I'm the pretty thing that lives in the house | Sono la bella creatura che vive in questa casa | Recensione film | Screenshot 1

Sono la bella creatura che vive in questa casa, seconda pellicola di Oz Perkins come regista, è un’opera bellissima e, a mio modestissimo e contestabilissimo giudizio, dannatamente importante.
Importante perché mette un punto fermo su come oggi vada scritto e diretto un film che voglia parlare di fantasmi. Non intendo sostenere che sia un capolavoro, questo lascio dirlo a chi di cinema se ne intende per davvero, né che quello di Perkins sia ora l’unico modo di raccontare questo tipo di storia, ma che il suo punto di vista è così interessante e la sua capacità di raccontarlo cinematograficamente così profonda, che fanno diventare la pellicola uno dei nuovi capisaldi del genere.

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Tutto è nei suoi primi due minuti e quaranta secondi. Tutto racchiuso sapientemente in quell’incipit magistrale, che condensa in uno spazio brevissimo le atmosfere, il ritmo e l’estetica del resto del film. E anche la storia è già tutta lì davanti, in bella mostra tra le parole della protagonista narrante, parole splendide e per niente casuali che capiremo in quel momento forse solo a metà. Tutto quello che arriva dopo non fa altro che estendere e chiarificare quanto ci è stato detto fin dall’inizio. In questo senso Sono la bella creatura che vive in questa casa è una continua e stupefacente poesia esistenzialista, su ciò che succede quando il nostro corpo muore, ciò che diventiamo e ciò che lasciamo al mondo. Parole e immagini di questo film sono tutte straordinariamente pensate, progettate e curate, sono parole e immagini da guardare e riguardare, da ascoltare e riascoltare.

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Il gioco di narrazione tra l’infermiera Lily, la protagonista della nostra storia, e Polly, la narratrice del libro letto da Lily, è sottile e perfetto. Un meccanismo di alternanze che origina una bellissima ambiguità di fondo, su chi stia parlando, su cosa stia vedendo e se siano davvero narratrici attendibili (e se ci pensate è proprio quello che capitava ne Il giro di vite di Henry James). Ruth Wilson è bravissima nel mettere in scena il personaggio di Lily, l’umile e remissiva infermiera chiamata ad accudire la vecchia scrittrice malata di demenza senile. L’attrice è costantemente in scena, spesso con primi e primissimi piani, e fin dalla sua prima apparizione, fin dal quel suo primo enigmatico “La bella ragazza che state guardando sono io. Di questo sono sicura“, capiamo che sarà lei a a comunicarci tutto il dolore e tutta la drammaticità della vicenda.

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E agli antipodi sta il personaggio di Polly (l’eccezionalmente bella Lucy Boynton, vista di recente in Bohemian Rapsody e purtroppo sempre recentemente fidanzatasi con Rami Malek anziché con me) in scena per pochissimi minuti (e ancora meno sono i fotogrammi in cui è riconoscibile) ma di quelli che lasciano il segno. Lo spettro di Polly è una delle cose più affascinanti e contemporaneamente disturbanti della pellicola e francamente, a memoria, non ricordo di un film di questo genere dove gli effetti visuali siano così misurati e tuttavia così riusciti. Una cura che, assieme a tutto il resto, non fa che dimostrare la crescente professionalità e autorialità di Perkins come regista.

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Sono la bella creatura che vive in questa casa difficilmente può essere considerato un horror, perché non ha come obiettivo spaventare. Anche quelle tre scene al massimo che potrebbero essere considerate jumpscare non sono mai fini a se stesse, ma sono sempre in funzione e a completamento di quanto il regista vuole raccontare. Perkins conosce bene gli stilemi e gli stereotipi di riferimento, su questo si possono avere pochi dubbi. C’è la grande casa, il fatto di sangue avvenuto in passato, l’isolamento della protagonista che può usare solo un vecchio telefono fisso e il già citato incipit, classicissimo, che non può non ricordare quello straordinario di Hill House. Ma il regista prende tutti questi elementi, in qualche modo li rivede e li disinnesca, e li usa per predisporci al suo racconto, a una fiaba esistenzialista sempre sospesa tra realtà e percezione della realtà. Questo non significa che non ci sia posto per la paura, per carità. Se le tematiche dell’esistenza dopo la morte corporea sono un vostro nervo scoperto, così come per qualcuno lo sono i ragni, le acque profonde o i pagliacci, avrete i brividi dall’inizio alla fine, ve lo dico per esperienza diretta. Ovviamente, chi malauguratamente avesse scelto a caso su Netflix, immaginandosi qualcosa, diciamo, alla James Wan, si sarà probabilmente addormentato al quattordicesimo minuto.

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La colonna sonora di Sono la bella creatura che vive in questa casa è quasi sempre poco più che un suono, indovinatissimo e ansiogeno quanto basta, eccezion fatta per una vecchia cassetta ascoltata con ostinazione dalla scrittrice malata. Ecco, quel brano degli anni ’50 si intitola You keep coming back like a song ed è cantato nientemeno che dal padre del regista, il più famoso e famigerato Antony Perkins. A quanto pare il vecchio Tony, oltre a quella di attore e di brillante gestore di Motel a conduzione famigliare, ha avuto anche una discreta carriera come cantante (ma non mi stupirei affatto se questa cosa fosse già nota a tutti eccetto il sottoscritto).

Una nota veramente amara sulla localizzazione della pellicola. Non sono un purista della lingua, non controllo fotogramma per fotogramma i labiali degli attori, non passo le notti a confrontare i copioni originali con quelli tradotti in italiano, ma nel riportare l’incipit per intero mi sono reso conto che la localizzazione di Netflix non ha avuto alcun rispetto per la versione originale. A parte la scarsa qualità del doppiaggio, sul quale ora non mi dilungo, sia la traduzione italiana del doppiato sia quella dei sottotitoli sono di un’imprecisione e sciatteria che lascia sgomenti come di fronte alle apparizioni di Polly. Nel migliore dei casi alcune parole vengono dimenticate, ma in tanti altri viene sbagliata la traduzione con conseguente stravolgimento del senso: “And left all alone” diventa inspiegabilmente “E a parte tutto il resto” (anziché “E lasciati soli”), “Worrying over the floors” diventa “Disturbando le assi del pavimento”, “Held in place by their looking” diventa “Trattenuti dal proprio aspetto” (“Aspetto” semmai è “Look”, “Looking” è “Cercare”, “Ricerca”), “Patchy, withered gardens” diventa “Giardini disomogenei e appassiti” (“Disomogenei”? Really???).

E questi sono esempi limitati all’incipit, il resto è lasciato a voi come esercizio per casa.

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[…] che come avrete capito sta agli antipodi di qualsiasi film horror, vi consiglio caldamente anche I am the pretty thing that lives in the house di Oz Perkins, altro esempio clamoroso di come fantasmi ed esistenzialismo siano […]

[…] abbiamo già visto in tanti altri racconti moderni sui fantasmi (uno su tutti I am the pretty thing that lives in the house), i fantasmi di Bly Manor sono esseri imprigionati nei propri ricordi, obbligati a ripetere e […]

Barbara

Non ho capito nulla.

Un’opera poetica e importante. Una pellicola che non farà necessariamente paura, ma che dimostra la crescente autorialità di Oz Perkins
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