C’era una volta la tranquilla cittadina americana, dove la vita scorreva serena, il sindaco era sorridente, il cielo sempre terso, il sole caldo ma non troppo e le persone percorrevano tutte la retta via. Un posto come Walnut Grove di La Casa nella prateria o Hill Valley di Ritorno al futuro, dove tutta la cattiveria e il male possibili erano quelli di qualche giovane scapestrato o di qualche adulto impulsivo, pronti comunque a redimersi al primo sopracciglio alzato dello sceriffo. Ma se si fanno bene i conti, questa immagine idealizzata della vita nella cittadina americana non è quella più diffusa nel cinema di genere. Uno sfondo così perfetto e solare, così smaccatamente legato al sogno americano, era un’occasione troppo ghiotta per non tirare fuori tutto il marcio e l’ipocrisia che si nascondevano dietro le quinte della sua rappresentazione. E infatti horror, thriller e fantascienza hanno spesso ucciso quest’idea per pasteggiare avidamente col suo cadavere.
Sharp Objects è l’adattamento televisivo HBO dell’omonimo romanzo di Gillian Flynn (in Italia pubblicato col titolo “Sulla pelle”) e da un certo punto di vista rientra perfettamente nel cliché del posto tranquillo che nasconde inenarrabili orrori. Non è un caso se la sigla della serie è proprio quel Dance and Angela di Franz Waxman della colonna sonora di A place in the sun, film a sua volta tratto dal romanzo An american Tragedy di Theodore Dreiser. Una canzone anni ’50 fino al midollo, con tutto il suo carico di romanticismo, spensieratezza e una vaga vena di malinconia, ed è difficile interpretarla in modo diverso, almeno fino a che non ci si renderà conto che la storia di Dreiser mira dritto al lato oscuro del sogno americano. Usarla in Sharp Objects è quindi una chiarissima dichiarazione di intenti, ma la cosa più interessante è che ogni puntata ha una sua diversa interpretazione di Dance And Angela. Di seguito trovate lista completa per tutte le otto puntate:
1) Dance and Angela (Franz Waxman)
2) Dance and Angela (Jean-Phi Goncalves)
3) Dance and Angela (Alexandra Streliski)
4) Dance and Angela – Cupcake Kitty Curls (Mark Batson)
5) Dance and Angela (Mark Batson)
6) Dance and Angela (Trip-Hop Version)
7) Dance and Angela (The Acid)
8) Dance and Angela (Franz Waxman)
Eccetto la prima e l’ultima, in cui compare la versione originale, in ogni episodio la sigla è una rilettura del classico di Waxman, come a suggerirci che ciò che vediamo è solo la superficie e dietro può esserci di tutto, davvero di tutto. La canzone del quarto episodio poi, Cupcake Kitty Curls, è stata scritta appositamente per la serie e il suo “testo” sono tutte le parole che Camille ha scritto sulla sua pelle.
Quasi tutti gli elementi di Sharp Objects sono ottimi, ma tre in particolare la rendono una serie eccellente: la storia, il montaggio e Amy Adams. Sulla storia sono totalmente di parte, non perché abbia letto il romanzo di Gillian Flynn (che così ad occhio però mi puzza comunque lontano un miglio di ottimo libro), ma perché è uno schema narrativo con cui mi drogherei fino all’overdose. Quello con un protagonista che, diventato adulto, torna nei luoghi della propria infanzia per fronteggiare il Male presente e quello passato. Un racconto di mostri reali e di fantasmi della memoria, di dolore inflitto fisicamente e psicologicamente, di traumi da superare e di colpe da perdonarsi. Vi ricorda qualcosa, vero? Tipo un sacco di cose, tra cui ovviamente IT di Stephen King e tutti i suoi derivati. Qui la protagonista è la giornalista Camille, che dopo anni torna nella sua città natale Wind Gap per indagare su un fatto terribile come la scomparsa di una ragazzina. E fin dai primi bellissimi secondi, quei piccoli spensierati momenti alla Stand by me in cui le due sorelline Camille e Marian pattinano fino alla grande casa, salgono le scale e trovano Camille adulta che dorme, è subito chiaro che la non-linearità della storia di Sharp Objects è proprio il linguaggio di tutta la vicenda.
Presente e passato si intrecciano e si confondono continuamente, così come i protagonisti adulti e bambini, perché il Male a Wind gap è uno solo ed è lo stesso da sempre. Ma non è una stortura causata da un Male esterno e superiore, come nel romanzo di King, che in qualche modo scagiona gli esseri umani in quanto vittime, tutt’al più colpevoli di debolezza. Qui il male non ha nulla di paranormale, sono gli stessi esseri umani di Wind Gap a costituirlo, senza scusanti. Pura e semplice miseria umana, in tutto il suo orrore. E’ un male che si avverte quasi subito e non solo per gli agghiaccianti fatti di sangue. Fin dal primo incontro di Camille con la madre Adora, in quella sua gentilezza distante verso la figlia c’è qualcosa di terribile e distorto. E il resto degli abitanti della cittadina sono a loro volta uno spettacolo miserabile, fatto di donne alcolizzate, di coetanee invidiose e pettegole, di padri di famiglia litigiosi, di violenze tra ragazzi, di sospetti e accuse alle spalle e di un modo di pensare polveroso e razzista. Le parole di Becca, che parla con Camille del loro comune passato di cheerleader, sono emblematiche:
Eravamo davvero splendenti. Bellissime, all’esterno.
Ma dentro abbiamo un pozzo profondo e scuro”.
Un quadro desolante, tanto quanto quello di Derry, che lascia noi spettatori con un’ansia costante. Se continuo a fare paragoni con l’opera di King è solo perché IT è un tòpos letterario di riferimento, non perché in Sharp Objects ci siano affinità nella storia o qualcosa di veramente horror. Quelli della serie HBO sono toni da moderno noir, decisamente molto più simili a quelli della prima stagione di True Detective, un racconto che si prende i suoi tempi per farci conoscere i personaggi e creare le atmosfere. Ma ovviamente il mistero serpeggia continuamente e viene messa anche parecchia carne al fuoco. La strana morte della sorellina Marian, il suo apparire a Camille per avvertirla di stare in guardia, il comportamento bipolare della sorella Amma, il ritrovamento della ragazzina morta e senza denti, le scritte che Camille si infligge sulla pelle, i vecchi crimini avvenuti lungo il fiume, il capanno nel bosco. Tutti sintomi di una situazione torbida e connaturata al luogo, che troveranno quasi totalmente spiegazione nei colpi di scena delle ultime due puntate. Il primo, quello della scoperta della sindrome di Münchhausen per procura, che viene gestito con la lentezza che merita e che porta la protagonista a tornare nella casa della madre per salvare Amma. La scena in cui la famiglia è riunita a cena, con Amma stordita e vestita da Persefone, e Camille ha quello sguardo indescrivibile verso la madre, perché sa cos’ha fatto e cosa sta di nuovo facendo, è una delle più tragiche e shockanti della serie. E il secondo, il momento in cui Camille trova i denti della ragazza morta a formare un perfetto pavimento nella casa delle bambole e quando Amma compare sulla porta la sua unica reazione è “Don’t tell Momma!”, con quello stacco a nero su In the evening dei Led Zeppelin che non poteva essere una chiusura di serie migliore. Ci lascia lì attoniti, a ripensare a quanto abbiamo visto in queste otto puntate e a provare a immaginare come siano andate le cose e a cosa farà Camille ora. In fondo era già tutto lì sul piatto e in bella vista (qualche spettatore forse ci sarà anche arrivato in anticipo), ma se guardate i titoli di coda dell’ultima puntata, circa a metà per qualche secondo compaiono dei fotogrammi in cui vediamo chiaramente l’omicidio della seconda ragazzina.
E poi c’è il montaggio, sicuramente uno dei più riusciti e impressionanti che io abbia visto in una serie TV. Non sono io la persona più adatta per tesserne le lodi, in Rete troverete sicuramente analisi molto più interessanti e tecnicamente accurate di quelle che potrei mai fare io, ma da semplice spettatore io credo che questa storia funzioni perfettamente più di tutto grazie a questo montaggio pazzesco. E vi assicuro che non è un semplice esercizio di stile o una prodezza tecnica per impressionare, come si fa con certi effetti speciali. Il punto invece è semmai il contrario, l’utilizzo di questo montaggio raffinatissimo permette di raccontare la storia nel modo più naturale possibile. La mia impressione è che la non-linearità della narrazione, la continua e frenetica confusione tra i piani temporali, tra personaggi e situazioni, sia in realtà molto più simile alla nostra esperienza di vita reale, dove la nostra mente è continuamente e freneticamente in multitasking tra l’analisi dell’esperienza presente e quella passata, tra le scelte fatte e quelle non fatte, tra ciò che è e ciò che abbiamo paura possa essere. E il montaggio di Sharp Objects è un lavoro eccellente e se si riesce ad abbandonarsi completamente alla visione del film non lo si noterà neppure, come non si nota il perfetto arrangiamento di una canzone. Ci sono tanti, troppi esempi che si potrebbero fare. Uno su tutti è lo splendido girotondo tra Camille e Amma, in cui il viso della sorella viene sostituito un giro dopo l’altro dai visi di Marian e delle altre ragazze morte. Si dice che nelle serie TV conta di più lo showrunner del regista, che infatti quasi sempre è un regista “di servizio”, diverso ad ogni episodio. Sarà, ma non in una serie come Sharp Objects. Il fatto che qui ogni santa puntata sia diretta da Jean-Marc Vallée, che non a caso è anche uno dei montatori, secondo me si sente e si vede eccome.
E infine Amy Adams. E anche qui non saprei come aggiungere qualcosa che già non si sappia sulla sua bravura. Camille è un personaggio bellissimo e atipico, una protagonista indebolita e traumatizzata, che si punisce continuamente, ma che in mezzo a tanti sbagli riesce però a gettare finalmente luce sul male insito in quel luogo oscuro. E, se lo fa, è principalmente per l’innata e testarda diversità che le ha salvato la vita da ragazza, perché l’oscurità di Wind Gap se la porta dentro dalla morte della sorella e sconfiggerla oggi significa uscire definitivamente da quel baratro. Forse non ve ne innamorerete subito, perché quello che Amy Adams mette in scena è un personaggio di una fragilità difficile, a volte quasi antipatica, di chi non si vuole bene e non sa più dove dirigersi, ma è anche il motivo per cui dopo un paio di puntate la sua Camille vi sarà completamente entrata nel cuore.
Ma in generale non troverete in tutto il cast principale un attore che non faccia uno splendido lavoro, in primis Patricia Clarkson, che ha vinto il Golden Globe come miglior attrice non protagonista in una serie TV. Quello della Clarkson è sempre stato un fascino particolarissimo, che nella sua interpretazione di Adora è perfetto per rappresentare questa donna dai modi e dalla gentilezza d’altri tempi e tuttavia capace di dire e compiere orrori inconcepibili verso i propri figli. In definitiva in Sharp Objects si parla di cosa significhi prendersi cura di qualcuno, del perché lo facciamo e, in questo, di dove stia il confine tra fare del bene e fare del male. I personaggi di questa storia cercano di prendersi cura di qualcuno, Adora di Amma, il patrigno Alan di Adora, il direttore Frank di Camille e Camille di se stessa e, nel farlo, finirà per prendersi cura di Amma. Nelle scene finali la vediamo rimessa in sesto, mentre il direttore del suo giornale legge il pezzo che ha scritto sulla vicenda di Wind Gap, e sentiamo queste sue parole:
Sono in grado di prendermi cura di Amma grazie alla gentilezza
o mi piace prendermi cura di Amma perché ho la malattia di Adora?
Sono indecisa tra le due. Soprattutto di notte, quando la mia pelle comincia a pulsare.
Ultimamente, propendo per la gentilezza.”
Un bell’interrogativo.