Se il cinema horror ci insegna qualcosa è che i protagonisti hanno sempre la memoria corta. Insomma, quante volte l’avremo visto che prendere armi e bagagli per andare a iniziare una nuova vita in un nuova cittadina non é una buona idea? E quante altre volte quest’idea già poco felice si è trasformata in un vero disastro se la nuova casa è di quelle senza uno straccio di un numero civico, dove se va bene passano per sbaglio due automobili all’anno e i primi abitanti del posto vi accolgono in modo che farebbe sembrare accogliente anche l’Overlook Hotel in bassa stagione?

Macché, niente. I protagonisti dei film horror vivono nel loro mondo fatato e come se niente fosse prendono pure mariti, mogli, figli, nonni, cani, gatti, uccellini e topolini e se li portano appresso verso l’incubo assicurato. E per fortuna diciamo noi, perché non aspettiamo altro che qualcuno che faccia cose che noi non faremmo neanche per un milione di dollari. The hole in the ground arriva dall’Irlanda, terra magica che negli ultimi anni ci ha regalato altre pellicole interessanti come The lodgers e A dark song, e a conti fatti è un film davvero sorprendente, perché pur non avendo nulla di originale e pur non usando praticamente nessun effetto speciale, riesce ad essere un meraviglioso horror.

Se The hole in the ground non è originale non dipende solo dal cliché usato e strausato di cui si parlava all’inizio, della nuova vita in una nuova comunità eccetera, ma anche perché nel corso del film ci sono rimandi inevitabili a davvero un sacco di film che hanno fatto la storia, dal Villaggio dei dannati a Il presagio, da L’invasione degli ultracorpi a The Babadook. Ma è una mancanza di originalità che non è affatto un punto debole, perché non parliamo di citazioni e omaggi fatti per attirarsi le grazie del pubblico (punto debolissimo di prodotti come Stranger things, per esempio) ma è semplicemente il raccontare una storia che ci è ormai molto famigliare, tuttavia usando sempre una propria riuscitissima voce. Sul fatto che non usi effetti speciali, ok l’ho detto, ma solo per dire immediatamente dopo anche un bel chissenefrega. Sono centinaia, se non migliaia, i film di genere che non ne utilizzano mezzo eppure funzionano. Se l’ho fatto notare è solo per ribadire quello che vanno predicando Benson e Moorhead da sempre, e cioè che se il vostro budget non vi permette di realizzare degli effetti speciali decenti, allora lasciateli perdere e piuttosto fatevi venire una buona idea.

E di buone idee Lee Cronin, regista e sceneggiatore di questa opera prima, ne ha tante e di quelle che fanno venire i brividi, nonostante di fronte alla camera il più delle volte metta situazioni poco più che ordinarie, a volte addirittura banali. Una mano, un ragno, un saggio scolastico, un bambino che risucchia uno spaghetto, un occhio che spia da sotto una porta. Sono pochissime le scene forti in senso stretto, forse solo il cadavere con la testa seppellita potrebbe definirsi tale e comunque è sempre ben poca cosa rispetto a quanto siamo abituati a vedere in ambito horror. E il punto è proprio questo: chi quando sente horror pensa immediatamente al film da vedere in compagnia degli amici insozzando il divano di popcorn e pizza al taglio, farà fatica ad apprezzare The hole in the ground e forse addirittura ad arrivarne alla fine.

Perché quello messo in scena da Lee Cronin è l’horror nella sua essenza più pura. E cioè l’orrore inteso come quel qualcosa che assomiglia alla realtà, ma ne è invece una versione impercettibilmente sbagliata. Avete presente quel capolavoro che è il romanzo IT di Stephen King, no? E avete presente quando Beverly è in casa della signora Kersh e conversano bevendo il tè, giusto? E nell’innocente vecchietta cambiano progressivamente dei dettagli, la camicetta, il colore dei capelli, la forma dei denti, così lentamente e insospettabilmente che Beverly nei primi istanti è convinta semplicemente di non ricordare bene. Poi a un certo punto la signora comincia a pronunciare male la parola “padre” storpiandola in “patre”. Ecco, io anche solo nel riportarlo ho la pelle d’oca. Questo è il tipo di horror che io più amo, nel senso che è quello che sicuramente più mi terrorizza. Ed è esattamente la logica del changeling, l’impostore che si sostituisce nella notte a uno dei vostri cari, uno dei miti più famosi del folklore irlandese su cui The hole in the ground si basa.

Cronin è sicuramente un regista da tenere d’occhio, perché se il film funziona è anche merito di come usa la macchina da presa. Si concede qualche piccolo virtuosismo, che male non fa, ma se funziona è perché in generale riesce a costruire la scena e la suspense sempre in modo efficace. Il momento magistrale in cui la madre smaschera l’impostore proponendogli il gioco delle smorfie è forse l’esempio più lampante di come riesca a creare tensione in modo intelligente e senza trucchetti da quattro soldi. E una cosa semplicissima come l’inquadratura iniziale di Chris davanti allo specchio deformante al Luna Park, sottolineata da un commento sonoro di pianoforte, è un bellissimo simbolismo e un’elegantissima dichiarazione di intenti nei confronti degli spettatori. Persino le numerose inquadrature aeree, l’auto che serpeggia sulla strada, il bosco fitto, l’enorme cratere nascosto, grazie anche a un’ottima fotografia sono il perfetto suggerimento dell’impalpabile minaccia che alberga in quei luoghi (una scelta cinematograficamente molto kinghiana, che ricorda quelle della recente serie Castle Rock e ovviamente quelle iniziali di Shining).

Se proprio dovessi sforzarmi di trovare un difetto a The hole in the ground potrei uscirmene giusto con qualcosa a livello di scrittura dei personaggi minori, quel gruppo di conoscenti della madre che vengono buttati in un paio di scene un po’ a casaccio, ma è un problema insignificante che non compromette veramente nulla. Per il resto io non riesco a trovare che note positive, inclusi gli attori e la recitazione. In particolare Seána Kerslake, che è la protagonista assoluta e riesce a interpretare in modo eccellente la madre di Chris, dal suo essere un dolcissimo genitore, ai momenti in cui sprofonda nel dubbio e nella paranoia, fino alle scene in cui è vittima di eventi spaventosi. La parte finale, quando Sarah entra nel buco alla ricerca del figlio, l’ho trovata un momento incredibile, una piega della storia da cui non sapevo davvero cosa aspettarmi. Forse gli spettatori più sgamati, magari proprio i suddetti fracassoni che intanto sbrodolavano pizza sul divano, avranno giudicato questa parte prevedibile o troppo poco spettacolare, ma per quanto mi riguarda è stata perfetta. Tanto buio, qualche rumore e poche inquadrature chiare ed estremamente indovinate. L’epilogo, con quell’apparente ritrovata serenità in pubblico di Sarah che in privato é invece turbata dal dubbio, da una paura che probabilmente la martellerà fino alla fine dei suoi giorni, è da chapeau.
Se qualcuno fosse incuriosito dalla figura del changeling, la serie Lore che trovate su Amazon Prime gli ha dedicato un episodio, che come spesso capita in questa antologia è anche la cronaca di un orrore tragicamente umano. Se qualcun altro fosse invece incuriosito dal regista Lee Cronin, è vero che è alla sua opera prima, ma solo parlando di lungometraggi. Nel 2013 ha infatti scritto e diretto il premiatissimo Ghost Train, che potete trovare in tutta la sua breve interezza in Rete.
Un consiglio da amico: se stasera quando tornate a casa vi dovesse capitare di non riconoscere il vostro partner, i vostri figli o il vostro cane, non fatevi prendere dal panico e sopratutto non buttatevi subito nel trarre facili conclusioni con questa faccenda del changeling.
Fate piuttosto il conto di quanti giri di chupito avete fatto.
[…] esempio è ovviamente The Babadook, ma la lista è lunga, basti citare Lullaby, Under the shadow, The hole in the ground e The prodigy. Still born inizia con immagini crude ma in qualche modo smorzate. Mary partorisce […]