La mia avventura nel campo dell’editoria, iniziata qualche mese fa con la campagna di crowdpublishing con la casa editrice bookbook, ha compiuto il suo primo e fondamentale passo: ho superato i duecento pre-ordini di Replay, ragion per cui il mio romanzo diventerà un libro disponibile da Giugno in tutte le librerie e gli store online.
Perché parlarne qui, su beetlejuice.it, che fino a prova contraria è un blog di cinema? Il primo motivo è ovvio (ai meno svegli lo lascio come esercizio per casa), mentre il secondo merita un piccolo momento di approfondimento. Tutti i romanzi esistono per un motivo e di motivi possibili ce ne sono chiaramente a bizzeffe, almeno tanti quanti sono gli autori. Non mi riferisco semplicemente al messaggio che un romanzo porta (o dovrebbe portare) con sé, ma più in generale al fatto che scrivere è prima di tutto mettere a nudo l’immaginario che sta nella propria testa. Questo immaginario è il mondo mentale dell’autore, la sua identità (forse non solo) letteraria, e quanto più l’autore è uno scrittore capace, tanto più i lettori riusciranno a conoscere questa sua identità e magari anche a riconoscersi. Scritto così verrebbe da pensare che io stia parlando solo dei romanzi fortemente autobiografici, come in effetti si dice di buona parte delle opere di esordienti, ma non è solo questo. Chiunque scrive opere di narrativa, e lo fa con onestà, parla inevitabilmente del suo immaginario e questa è una faccenda terribilmente personale.
Cosa c’entra tutto questo col cinema e beetlejuice.it ? C’entra perché il mondo mentale di cui parlo in Replay, e più in generale dell’immaginario a cui attingo quando racconto qualcosa, è in larghissima parte basato sul cinema. E non è solo questione di citare più o meno esplicitamente pellicole e personaggi che ormai sono diventati patrimonio dell’umanità, ma soprattutto per il fatto che la mia mente è talmente impregnata di cinema da farmi osservare e interpretare sotto la sua lente un po’ tutto quanto. E’ una cosa che, se uno ci pensa troppo, fa venire in mente lunghi corridoi illuminati al neon, stanze imbottite e una lunga lista di farmaci psicoattivi quotidiani, ma credo che in definitiva in questo sistema di pensiero ormai ci siamo dentro tutti. Chiunque si metta oggi a creare una storia, a prescindere dal modo e dal mezzo in cui vuole usarla, è per forza di cose influenzato dal cinema molto più di quanto potrebbe voler ammettere. Voglio dire, qualcuno oggi riuscirebbe davvero a scrivere di fantasmi, senza combattere una piccola guerra civile nella propria testa per fare i conti con The Haunting di Wise o Shining di Kubrick? Qualcuno potrebbe avventurarsi a scrivere di amicizia senza uno sguardo più o meno consapevole a Stand by me di Reiner o E.T. di Spielberg? Qualcuno potrebbe mai parlare di come diventare se stessi senza aprire un po’ la porta a Dead Poets Society di Weir o a Girl, interrupted di Mangold?
A meno che la persona in questione negli ultimi settant’anni non abbia vissuto una vita molto particolare in una capsula criogenica della USCSS Nostromo, la risposta per me è un bel no secco. Non è possibile in nessun modo, figuratevi per me, che amo il cinema da quando captavo film da un minuscolo televisore in bianco e nero con le manopole.
Se a qualcuno avessi fatto venire un po’ di curiosità sul mio romanzo Replay, qui trovate la pagina di bookabook con la sinossi, gli aggiornamenti e un meraviglioso pulsante per ordinare la versione cartacea o l’ebook.