EL HOYO – Beetlejuice

EL HOYO

“Il grande che fosse vizioso
sarà un grande vizioso
e il ricco non liberale
sarà un misero taccagno.
Perchè chi possiede le ricchezze
non è felice per il fatto di possederle,
ma per spenderle, e non come vuole,
ma per sapere spenderle bene”

Per chi ama il cinema, Netflix è un po’ come un negozio di chitarre se siete chitarristi mancini: c’è un sacco di roba bellissima di cui a voi non interessa quasi nulla (le serie TV), ma se avete pazienza di aspettare e cercate con cura, alla fine il vostro oggetto del desiderio lo trovate (un bel film).

El Hoyo - Recensione film - screenshot 1

El Hoyo, localizzato in Italia col molto discutibile titolo Il buco (uno sfoggio di letteralità di cui avremmo fatto volentieri a meno) e con The platform sul mercato internazionale, è l’opera prima dello spagnolo Galder Gaztelu-Urrutia, che riesce nel colpaccio di dirigere una pellicola di genere in grado di far riflettere senza per questo annoiare. E se ci riesce è principalmente grazie a un soggetto potente e a una sceneggiatura forse non perfetta, ma precisa, ficcante e che non dà mai il minimo segno di cedimento in tutta l’ora e mezza di durata. Visto che il cervello umano è quel che è, e funziona principalmente per similitudini e relazioni con l’esperienza, sulle prime scene di El Hoyo è inevitabile non partire subito in quarta e riferirsi a un film cult come Cube (che se non ve lo ricordate, è di ventitré anni fa, vecchi cinefili che non siete altro). Anzi, non servirebbe nemmeno guardare il film, basterebbe giusto qualche fotogramma se non addirittura semplicemente la locandina.

El Hoyo - Recensione film - screenshot 4

Perché l’ambientazione in cui veniamo catapultati fin dal primo secondo di El Hoyo, è grigia, misteriosa, straniante, disumana proprio come quella del film canadese e inizialmente vi darà probabilmente gli stessi brividi di paranoia. E, ça va sans dire, anche l’impianto è molto simile, perché anche qui stiamo parlando di un one-room movie sotto mentite spoglie, dove i protagonisti sono prigionieri di un enorme meccanismo misterioso e la loro vita è costantemente in pericolo. Se proprio qualcuno non fosse ancora convinto, c’è persino la citazione plateale del primissimo piano dell’occhio quando il protagonista si sveglia nella cella, praticamente identica ai primi secondi di Cube. Ecco, però il paragone tra i due film finisce qua, un po’ perché parlare di queste somiglianze poco più che estetiche è noiosetto, e un po’ perché El Hoyo dopo pochi minuti ingrana e prende una strada diversa e più ambiziosa, rendendolo un film molto diverso e (almeno oggi, a Marzo 2020) anche più interessante.

El Hoyo - Recensione film - screenshot 5

Mano a mano che la pellicola ci racconta del luogo, della piattaforma che porta il cibo attraverso il buco, della varia umanità che abita le centinaia di livelli sotterranei, di come ognuno reagisce fisicamente e psicologicamente al rigido meccanicismo di questo contesto folle, la prima cosa che appare a caratteri cubitali nella nostra mente è la parola “allegoria”. La metafora di come funziona e ha sempre funzionato la società umana, delle sue classi, con chi sta ai livelli superiori che si abbuffa senza sosta al sontuoso banchetto, senza il minimo pensiero e rispetto per chi dovrà accontentarsi dei suoi avanzi ai livelli inferiori. Una metafora a volte anche fastidiosa, estrema, al fatto che chi sta sopra possa letteralmente pisciare e cagare su chi sta sotto (mentre non può essere viceversa), che si spinge oltre e ci parla di un concetto tremendo e difficilmente accettabile per noi occidentali come quello della mera sopravvivenza, dove in assenza di risorse non si esita a cannibalizzarsi letteralmente tra esseri umani (“mangiare o essere mangiati”).

Questa allegoria non è di per sé completamente originale, vi ricorderà molto da vicino Snowpiercer, (pellicola di Bong Joon-Ho che qualcuno avrà riscoperto dopo gli Oscar di Parasite) e Dio solo sa cos’altro. Il film coreano se la giocava benissimo, ambientato com’era su un treno in continuo movimento per sfuggire alla nuova era glaciale, e su quei vagoni la lotta di classe e la rivoluzione erano l’ovvio e desolante destino a cui qualsiasi società di esseri umani sembra non riesca a sottrarsi.

El Hoyo - Recensione film - screenshot 3

Dopo che mi sono riempito la bocca di allegoria di qua e allegoria di là, mi viene però da chiedermi se sia davvero sensato parlare di El Hoyo in questi termini. La risposta dipende da come si sceglie di interpretare la storia: la nostra umanità, quel guazzabuglio di idiozia, istinto, egoismo e violenza a cui siamo abituati, esiste al di fuori di quell’assurda struttura verticale o no? Perché se non esiste, allora di grande metafora sicuramente è giusto parlare, perché si tratterebbe di un mondo diverso dal nostro e che per analogie ci mostra spietatamente da vicino tutti i nostri orribili difetti. Ma se esiste la nostra società, allora quel luogo smette di essere un’allegoria e diventa invece qualcos’altro. Qualcosa di studiato, progettato e realizzato con un fine specifico, una prigione, un esperimento, un gioco. Su questo il film non è chiaro (e io apprezzo sempre l’ambiguità e la possibilità di interpretazioni multiple), ma più di una volta i personaggi e gli accadimenti sembrano indirizzarci verso questo secondo senso. Si parla di Centro Verticale di Autogestione, si cita la paura del Comunismo, si mette alla berlina l’illogicità del Consumismo. Ci sono quelle regole stringenti e raffinatissime, come il fatto di non poter fare scorta di cibo altrimenti la temperatura della cella diventa letale, o che la piattaforma risalga al livello 0 solo dopo essere scesa ogni giorno fino alle estreme profondità, dove non esiste alcuna possibilità di vita, o ancora che il cibo sulla piattaforma sia nella quantità giusta perché possa bastare a tutti, se opportunamente razionato. C’è chi entra nella struttura per punizione, perché omicida, chi lo fa volontariamente, forse per smettere di fumare o per avere un attestato di permanenza, oppure chi dopo aver lavorato per l’Amministrazione della struttura e aver scoperto di essere malato terminale, entra perché vuole sacrificarsi per gli altri e spronarli al cambiamento. E sopratutto c’è questo continuo mischiare il mazzo, la regola dello scambio di livello che come una mannaia colpisce tutti una volta al mese, e che non può non essere creato ad arte per aprire gli occhi alle persone sulla necessità vitale di solidarietà e condivisione. Insomma tutto sembra suggerirci un contesto costruito con l’intenzione di far spurgare l’umanità da chi conosce alla lettera tutti i suoi lati peggiori e in questo senso ci viene in aiuto più di una volta la metafora delle lumache (che è anche il cibo scelto come preferito dal protagonista).

El Hoyo - Recensione film - screenshot 2

Ciò non toglie ovviamente che tante cose abbiano comunque un valore simbolico. Come l’oggetto che ognuno può portare con sé, solo uno, ma che può essere qualunque cosa. Quasi tutti inevitabilmente scelgono un’arma, dalla mazza da baseball alla pistola. Qualcuno sceglie il denaro. Il nostro protagonista Goreng, colui che darà vita alla rivoluzione, non a caso porta con sé tutt’altro, il “Don Chisciotte” di Cervantes, il libro per eccellenza sulla follia e l’idealismo. L’ex dipendente Imoguiri, forse la vera scintilla scatenante del cambiamento, porta invece il suo cane e divide con lui la propria razione di cibo. Ed è proprio il cibo, che noi del Primo Mondo abbiamo smesso da tempo di considerare una necessità vitale per trasformarlo in un piacere da programma televisivo, ad essere l’ingranaggio principale del meccanismo del buco. Il cibo, il primo pensiero di ogni animale che corre, salta, striscia o vola su questo pianeta e la cui privazione fa perdere di significato a tutti gli altri pensieri, diventando l’unico e ossessivo.

El Hoyo - Recensione film - screenshot 6

El Hoyo tiene col fiato sospeso e non perde colpi, perché (e fa benissimo) vuole essere anche un thriller, ma è sopratutto un film di un’amarezza inimmaginabile, che racconta il dramma di cosa sia l’essere umano quando è ridotto ai minimi termini. Imoguiri, in cerca della solidarietà spontanea, nel provare a far capire alle persone del livello sottostante l’importanza di razionare il cibo, riceve in risposta solo menefreghismo e insulti. Solo la minaccia di Goreng di cagare ogni santo giorno sul loro cibo li convince, e non certo perché miracolosamente cominciano a ragionare, ma perché l’unico linguaggio alla loro portata è quello della coercizione e della violenza (“La merda è più efficace della solidarietà”). Anche la discesa agli inferi di Goreng e del suo sancho panza Baharat, nonostante sia fatto per il bene comune, è una rivoluzione feroce e armata, l’unica possibile in quel contesto e con quell’umanità, (“Il cambiamento non è mai spontaneo”).

El Hoyo - Recensione film - screenshot 7

Il finale di El Hoyo ha un’enigmaticità che si presta a diverse letture, ma credo che nessuna di queste possa identificarsi con un vero lieto fine. Quella bambina che esiste davvero al livello 333 e che risale quasi spiritualmente come messaggio per il livello 0, è un’immagine bellissima, forse anche piena di speranza, ma non sono così certo che simbolizzi necessariamente una vittoria per il genere umano. Se ci pensiamo, la bambina è una creatura radicalmente diversa da tutti quelli che abitano la struttura (“La bambina ha un dono. Non l’ha notato?” dice il fantasma del vecchio compagno di cella), è l’unica innocente in un luogo dove in nome della sopravvivenza chiunque ha compiuto atti orribili contro i propri simili, è sopravvissuta nelle profondità della prigione per un tempo indefinito, verosimilmente senza cibo, e quando finalmente mangia qualcosa lo fa con il piatto simbolo (la “Pietanza deliziosa e ben impiattata”). Insomma, se qualcuno merita di uscire da quel luogo, o comunque di portare ai piani alti un messaggio di salvezza, è qualcuno distante anni luce da qualunque essere umano. Un’interpretazione più positiva e psicoanalitica (simile a una delle possibili letture di “La cura” di Battiato, per intenderci), potrebbe essere che la bambina rappresenta la parte di noi più innocente e pura, quella che quasi tutti crescendo progressivamente dimentichiamo e che se vogliamo riscoprire e far emergere dobbiamo cercare sempre più in profondità dentro noi stessi. Una parte di noi inevitabilmente più fragile, ma anche infinitamente migliore e che ci può salvare come individui e forse persino come collettività.

El Hoyo - Recensione film - screenshot 8

Sono andato lungo e, ahimè, non riesco a spendere la parole che vorrei sui personaggi che animano El Hoyo e sul piccolo manipolo di ottimi attori che li interpretano. Sono tutti meravigliosi, dal primo (il maître) all’ultimo (la bambina), e se sotto tortura dovessi confessare il mio preferito direi Trimagasi (Zorion Eguileor), il primo compagno di cella di Goreng, piccolo uomo dalla faccia bonaria, ma inquietante come Mr. Grady in The Shining. Sì ok, lo so, se ci scostiamo dall’aspetto allegorico ci sono anche un po’ di cose in El Hoyo che non tornano: perché diavolo la gente dovrebbe entrare volontariamente in un posto del genere? Perché Imoguiri, che ha lavorato 25 anni per il buco, afferma che ci sono 200 livelli? Come può la bambina sopravvivere senza cibo? Chi ce l’ha messa lì, visto che i minori non sono ammessi? Perché la piattaforma, dopo essersi fermata al livello 333, scende verso il basso e poi la ritroviamo di nuovo al livello 333? Sinceramente a me la cosa non disturba più di tanto, primo perché qualcuno più bravo di me (quindi va benissimo il primo che passa) probabilmente le risposte le ha, secondo perché El Hoyo non è un thriller puro, e quello che doveva dire lo ha detto perfettamente a prescindere da questi dettagli.

Scusate ma ora devo scappare, non vorrei perdere la mia parte del sontuoso banchetto di oggi. Quel che ne rimane, ovviamente.

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Max

Beh almeno non hai chiuso con “E’ovvio”! Ho paura che alla fine di questo film resterà soprattutto la battuta di Trimagasi. Forse cade in un periodo no..per quello che stiamo vivendo e la metafora del classicismo , la razionalizzazione del cibo ecc.. stona con quello che i media ci fanno vedere e cioè una società migliore di quella che racconta il film. Che cerca di far fronte comune e rialzarsi. Capisco che forse quello che stiamo vivendo non c’entra con il film però siccome sempre di un horror stiamo parlando si è più portati a minimizzare il messaggio che vuole… Leggi il resto »

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