TROOP ZERO – Beetlejuice

TROOP ZERO

“Quando mamma è morta,
tutti hanno detto un sacco di cose diverse:
è in Paradiso, è qui con me ma è invisibile…
Boss Man ha detto che si è trasformata
in stelle e comete e meteore.
Ecco, io penso che questa sia la cosa vera:
penso che sia stelle e comete e meteore”

Dal teorema per cui non si giudica un libro dalla copertina discende l’abbastanza ovvio lemma che non si può nemmeno giudicare un film dalla locandina. Per motivi che il più delle volte ci sfuggono, è però anche perfettamente umano cominciare a leggere un libro o guardare un film perché attratti dalle loro copertina e locandina.

Troop Zero - Recensione film - Screenshot 01

Ecco, io un film come Troop Zero probabilmente non l’avrei mai visto se non fosse stato per quel poster che ogni volta che mi trovavo davanti agli occhi mi diceva “Beh, che aspetti a guardarmi?”. Una semplice foto di una bambina bionda con uno strano scolapasta in testa, come in certi giochi d’altri tempi, e quel titolo “Troop Zero”, anch’esso strano e affascinante. La mia esitazione nel vederlo dipendeva tutta dal fatto che questa pellicola avevo scritto in faccia a caratteri cubitali “film per famiglie” o, peggio ancora, “film che guardano le mie nipotine”. Almeno, è quello che sembravano dire chiaramente i titoli correlati a questa pellicola su IMDb e sulla pagine del produttore Amazon Prime Video.

Troop Zero - Recensione film - Screenshot 02

Questa cosa della locandina alla fine è stata talmente più forte di me che mi ha sedotto come il lato Oscuro della Forza e non ho potuto far altro che pigiare l’Oscuro tasto Play. E cosa scopro? Che Troop Zero è un film che sì, potete vedere in famiglia (come probabilmente il 70% dei film che vengono girati, porno esclusi), ma soprattutto che stiamo parlando di una pellicola riuscitissima, per circa due terzi della durata davvero da applausi e in grado di commuovere anche il cuore più duro e disilluso. Ok, forse qui ho esagerato, chi ha definitivamente ucciso il fanciullino nascosto dentro di sé e odia le forme di vita sotto i dieci anni forse non ci vedrà proprio niente di buono. Ma se, come il sottoscritto, siete disillusi per pura formalità anagrafica, allora preparatevi a un lungo finale coi fazzoletti in mano.

Troop Zero - Recensione film - Screenshot 03

Gli ingredienti da film per ragazzi chiaramente non mancano. Ci sono la scoperta dell’amicizia, il rispetto per gli altri, l’accettazione della diversità, la voglia di vincere e la paura di perdere, la magia dei sogni, il coraggio di credere in se stessi e tante, tante altre cose viste e straviste che noi gente cresciuta ormai etichettiamo come banalità da film, ma che nella vita vera sono invece l’essenziale. E banalità in realtà lo sono solo quando vengono raccontate male, perché quando sono ben scritte, come qui, diventano un bellissimo regalo che ci fanno il cinema e la narrativa in generale. Ma Troop Zero aggiunge anche dell’altro e un modo diverso di raccontarlo e in questo non assomiglia affatto ai soliti film di questo tipo. Prima di tutto ha un soggetto accattivante, una bambina che dopo aver perso la madre entra in fissa con gli extraterrestri e passa il tempo a cercare di comunicare con loro, arrivando al punto di organizzare una truppa di scout per cercare di vincere il primo premio al concorso Jamboree: la registrazione della propria voce sul Voyager Golden Record della N.A.S.A.

Troop Zero - Recensione film - Screenshot 05

In secondo luogo è ambientato in Georgia nel 1977 e quindi la colonna sonora è una playlist di ottime canzoni, con l’aggiunta delle bellissime musiche originali di Rob Lord. Infine, e direi soprattutto, non si sottrae a temi per nulla da bambini, come quello della disillusione, in particolare quella di Miss Rayleen, imbrigliata nella mediocrità di un lavoro e di una città che non rendono giustizia alle sue capacità e ai suoi sogni da ragazza. La segretaria tuttofare si trova suo malgrado “Mama” delle cinque improbabili birdie-scout ed è sempre in bilico tra il fare l’adulta educatrice e motivatrice e invece l’abbandonarsi al cinismo e all’arido pragmatismo che la vita le ha insegnato. Il modo in cui si comporta e parla alla protagonista Christmas è spesso agli antipodi da quello che normalmente gli adulti usano coi bambini e in questi dialoghi si genera quindi un magnifico scontro tra la disillusione dell’adulta e l’idealismo della bambina:

– Questi non siamo noi. Queste sono le nostre versioni di serie B, perché nessuno ci insegna a essere migliori. Ce lo insegni, lo faccia per noi! Per favore!
– Nessuno l’ha fatto per me.
– Ora potrebbe cambiare.
– Non cambierà mai. La tua vita sarà sempre così. Prima lo capisci, meglio è.
– Non può essere vero, piuttosto morirei.

Il fatto che Miss Rayleen non sia un personaggio negativo della storia (tutt’altro, è la cosa più vicina a una mamma che Christmas ha) rende la storia molto più tridimensionale e interessante.

Troop Zero - Recensione film - Screenshot 08

Nella famiglia disfunzionale e adorabile di Christmas c’è un altro personaggio meraviglioso, il padre. Avvocato delle cause perse (e infatti le perde tutte sistematicamente), che parla di sé in terza persona chiamandosi “Boss Man” e che chiama la figlia “Boss”. Un padre per tanti versi allo sbando dopo la morte della moglie, ma con una tale bontà d’animo e tenacia di fronte alla sconfitta, che alla fine dei conti sarà lui l’esempio migliore per Christmas. Nelle scene finali, quella dove la piccola è in difficoltà sul palco e il padre dalle ultime file sussurra “Non arrenderti Boss”, è quella dove comincerete a piangere e, se non lo fate, avete qualcosa che non va.

Troop Zero - Recensione film - Screenshot 10

E ovviamente poi c’è Christmas, il fulcro centrale del film, una bambina di una bellezza così potente e insolita da sembrare anche lei extraterrestre. Quando è in scena, cioè praticamente sempre, non c’è un singolo momento in cui non ci si senta completamente disarmati di fronte ai suoi occhi e alle sue espressioni, a quell’entusiasmo, a quella fragilità e a quella forza d’animo. È la prima volta che vedo Mckenna Grace (no, non ho ancora visto I, Tonya), ma la sua per me è un’interpretazione eccellente e con questo personaggio fila dritta nell’Olimpo dei protagonisti pucciosi, assieme a Drew Barrymore di E.T., Dakota Fanning di War of the Worlds e Heather O’Rourke di Poltergeist. Le registe Bert & Bertie hanno fatto in generale un lavoro di casting assolutamente straordinario, sia con la truppa degli attori bambini (tutti bravissimi e con le facce perfette), sia per il ruolo del padre con Jim Gaffigan (su cui aleggia lo spirito di Philip Seymour Hoffman) e sia, ovviamente, con i premi Oscar Viola Davis e Allison Janney nei panni delle Miss Rayleen e Miss Massey.

Troop Zero - Recensione film - Screenshot 07

Vi confesso una cosa, quando siamo arrivati alla terza parte della vicenda, il tanto agognato concorso delle Birdies, ho cominciato a temere seriamente per le sorti del film. Insomma, quante volte abbiamo visto una storia con protagonisti bambini che finisce con una gara, una partita, un concerto, un esame e per dovere di lieto fine ci scaraventa di colpo negli abissi dei finali dozzinali? Quella roba mielosa e da quattro soldi in cui tutto va a posto, i buoni vincono, i cattivi perdono, qualcuno addirittura si ravvede e tutti vissero felici e contenti (e magari gli alieni fanno pure capolino)? E invece no, Troop Zero ci regala un finale intelligente e all’altezza delle aspettative, toccante senza essere zuccheroso e persino al gusto di Space Oddity di Bowie. Il discorso pronunciato da Christmas sul palco, mentre il padre la guarda non solo con amore paterno, ma anche con un profondo rispetto che quasi mai gli adulti sanno riservare ai bambini, è il perfetto controcanto e conclusione al messaggio che la piccola mandava agli extraterrestri nelle scene di apertura del film.

Mi chiamo Christmas Flint.
Sono una femmina umana.
A volte me la faccio sotto quando sono nervosa.
Non so perché. Non vorrei farlo. Voglio solo dirvi…
che spero… viviate una buona vita.
Spero che abbiate amici.
Spero che abbiate ciò che ho io.

Troop Zero - Recensione film - Screenshot 06

E allora adesso voi direte “Perché, diavolo di un autore da strapazzo di recensioni, questa pellicola sarebbe da applausi solo per due terzi? E l’altro terzo?” Beh, qui siamo sempre nell’ovvio campo delle opinioni, ma la verità è che Troop Zero secondo me ha un bel problema di sceneggiatura nella parte centrale, a causa del quale non può essere definito perfetto o meraviglioso a tutto tondo. In quella parte ciò che succede è spesso poco utile alla storia ma soprattutto non è sempre interessante e coinvolgente come dovrebbe. Non è un problema grave, semplicemente se la sceneggiatura in quel punto fosse stata più ficcante, forse anche più coraggiosa (magari con maggiori conflitti tra i bambini e Rayleen, oppure approfondendo il tema della madre scomparsa), allora la pellicola si sarebbe decisamente elevata e per me sarebbe diventata un sicuro cult.

E per finire, a (mia) grande richiesta, il pippone sulla localizzazione. Lasciando perdere la traduzione italiana del titolo “Equipaggio Zero” (sbagliata, soprattutto rispetto alla trama del film), vi prego, vi scongiuro, non so davvero più come convincervi, guardate le pellicole in lingua originale. Anche i sottotitolo italiani non sono in generale granché sulle piattaforme di streaming (raramente hanno errori clamorosi, ma spesso hanno tante piccole imprecisioni nelle sfumature delle frasi e delle parole), ma il doppiaggio in tanti casi è di ancor più scarsa qualità, soprattutto quando si tratta di giovani attori. Fate una prova, visto che con le piattaforme maggiori c’è questa possibilità, provate a sentire i primi due minuti di Troop Zero in originale e doppiato, vi renderete conto dell’abisso che c’è tra le due voci. E non c’è di che stupirsi, già in Italia ormai i bravi doppiatori sono pochi, trovarne uno di quell’età è pura fantascienza.

Una bellissima produzione Amazon, non esente da difetti, ma con un cast eccellente, una protagonista irresistibile e tanta capacità di commuovere

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