Forse va prima di tutto detto che sono anni che cerco di recuperare con ogni mezzo (lecito e non) Hostile di Nathan Ambrosioni, senza ovviamente mai riuscirci. Colto da sfinimento ho deciso di ripiegare su questo Hostile, sempre francese ma del regista Mathieu Turi, non nuovo nel mondo del cinema e qui alla sua opera prima alla regia. Guardare un film omonimo in mancanza dell’originale non è probabilmente un buon modo per cominciare, è un po’ come andare a una festa perché vi interessa una ragazza e, visto che lei ritarda, limonarsi la sua amica cozza. Tutto sommato però in Rete le opinioni sulla pellicola di Turi sono in buona parte molto positive (e apparentemente lo sono anche in modo molto sincero), quindi mi sono detto “Perché no? Limoniamo!”.
Hostile di Turi è una di quelle pellicole che finisce dritta nella categoria “Le cose peggiori sono sempre fatte con le migliori intenzioni”. Categoria che, detto fra noi, è piena zeppa di opere prime. Tecnicamente Hostile non ha nulla che non vada. La fotografia è curatissima, direi addirittura eccellente nella prima parte, in cui il viaggio della protagonista ci racconta di deserti assolati, distruzione post-apocalittica, civiltà scomparsa e sopravvivenza. Anche la scelta registica (dettata probabilmente anche dal budget) di lavorare spesso di sottrazione e di non mostrare subito le creature è azzeccata e ben gestita.
Dal momento dell’incidente la pellicola cambia tono e luci e diventa in sostanza un trapped survival movie (alla Buried, The end?, The descent, per intenderci) e anche qui Turi gioca bene le sue carte. Alcune scene action-horror sono più riuscite di altre, ma in generale il livello è veramente buono. Inquadrature, movimenti di camera e montaggio mantengono in ogni situazione una chiarezza encomiabile (considerate che la protagonista è praticamente sempre all’interno dell’abitacolo di un fuoristrada capottato ed è notte) .
Ma il grande “Ma” della pellicola viene fuori quasi immediatamente, con il primo flashback. Ancora non sappiamo che il film sarà una lunga e sfiancante parata di flashback continuamente frapposti alle scene di azione notturna. Ancora non sappiamo che il regista ha scelto questa strada per creare un parallelo tra ciò succede nel presente e ciò che è successo nel passato della ragazza, per darle spessore, una storia, e per creare un twist finale che vorrebbe denso di sentimento e significati. Non sappiamo niente, ma vediamo questi due personaggi in una galleria d’arte, che parlano con dei dialoghi da soap-opera e recitano quasi sempre in quel modo deprimente che può passare inosservato solo a una casalinga che sta facendo tutt’altro e pensiamo: “Ma che diavolo è questa roba?”.
E da quel momento (quindi purtroppo da quasi subito) niente sarà più lo stesso, la festa è rovinata. E il disastro non è tale perché siamo tutti maniaci dei film di genere duri e puri e il film avrebbe dovuto essere novanta minuti di incessante e ignorante azione survival, con eclettici movimenti di camera, trovate sempre più geniali e scontri sempre più sanguinari con le creature. È un disastro perché tutta questa parte di pregresso sentimentale è nel migliore dei casi fastidiosa e in tanti altri di una bruttezza da lasciare attoniti. Io le intenzioni di fare qualcosa di diverso dal solito horror le apprezzo molto, davvero molto. Se ci pensate, anzi, tutto ciò che qualcuno ama definire post-horror è proprio questa contaminazione dell’horror con generi diversi e più “seri”.
Ultimamente abbiamo importantissimi esempi di pellicole ben riuscite in cui agli stilemi dell’orrore si inseriscono altre tematiche e chiavi di lettura (che se vogliamo dire la verità, in tanti casi c’erano già da tempo, e non solo per il solito citatissimo Romero e i suoi zombi) vedi film come Babadook, Get Out, I’m the pretty girl that lives in the house, La questione però è sempre un po’ quella: bisogna saperlo fare. E qui è evidente che il registro sentimentale drammatico a Turi non viene per niente bene. Emblematica di questa debolezza è la protagonista Juliet, che nelle parti survival è un personaggio cazzutissimo e bello quasi come la Jen di Revenge (dico “quasi” perché stiamo parlando di un film infinitamente migliore e Matilda Luz è insuperabilmente bella, non solo in quel film) mentre nei flashback è irritante persino nei momenti in cui recita dignitosamente.

Il finale sarebbe la parte migliore, con quel suo twist tutto sommato ben giocato e che porta lo spettatore a rileggere l’intero corso delle vicende sotto una nuova luce. Peccato che la cosa sia convincente per non più di cinque secondi, perché più uno ci pensa e più conclude che è una spiegazione del tutto impossibile. E non impossibile perché siamo in un documentario della premiata famiglia Angela, ma inverosimile anche per essere in un film di genere. Pensare che bastava veramente poco per rendere il colpo di scena ammissibile, qualche piccola modifica in fase di scrittura per rendere la cosa almeno vagamente probabile. Ecco sì, a questo punto molto meglio novanta minuti di azione survival ignorante e violenta, da guardare sgranocchiando patatine senza doversi impegnare inutilmente a seguire dialoghi, approfondimenti dei personaggi e sentimentalismi imbarazzanti.
Della colonna sonora vi segnalo l’ispiratissima versione di Lauren O’Connell di House of the rising sun degli Animals (tra l’altro già sigla della stagione Coven di American Horror Show) usata in modo magistrale nei titoli di testa, un po’ come True Detective ha utilizzato Far from any Road o Death Letter.
Se siete appassionati di horror sicuramente conoscerete l’attore Javier Botet, cinquantasei chilogrammi per due metri di altezza. Se il nome non vi dice niente, sappiate che lo avete visto decine di volte e spesso anche nei vostri incubi peggiori, perché è l’attore che sta dietro a gran parte delle creature disturbanti degli horror degli ultimi anni (La Madre, Crimson Peak, Alien Covenant, The conjuring) e che qui interpreta un mietitore. Dunque ora lo sapete, quando vi compare davanti una creatura alta e magra in modo disumano, specialmente se ha cattive intenzioni, con ogni probabilità è quel simpatico pennellone di Javier.
Banalissimo sia nella storia d’amore (inverosimile) che nell’aspetto horror (stravisto), quindi il film fatica ad ingranare ma quando gli “universi si scontrano” compare un barlume di soddisfazione che lo salva dall’ignominia totale.
Sì verissimo. Non ricordo se l’ho anche letto da qualche parte, forse su I 400 calci, ma se ci avessero fatto un cortometraggio horror poteva venir fuori qualcosa di decente.
Beh dai, Turi può sempre farci una mostra fotografica con le riprese iniziali 😀