PARADISE HILLS – Beetlejuice

PARADISE HILLS

“Sua figlia e’ l’incarnazione
della perfezione dell’alta borghesia.
Si e’ guadagnata la vita che l’aspetta”

Uscirmene con la recensione di un film come Paradise Hills dopo quasi un mese di silenzio, la dice lunga sul mio stato psico-fisico e probabilmente anche sulla mia integrità morale. Purtroppo non ci posso fare niente, ci sono pellicole che per immagini, attori e genere di appartenenza per me sono veramente magnetiche, anche quando l’emisfero sinistro del mio cervello è lì che mi implora di lasciar perdere. Stavolta è successo ancora più subdolamente, perché qui il mio raziocinio sonnecchiava bellamente e non avevo quindi nemmeno intuito che Paradise Hills, pur essendo un thriller sci-fi, rientrasse anche in quella deprecabile categoria che prende il nome di young adult.

Ora, intendiamoci, io non ho niente contro gli adolescenti, eccetto il fatto che loro sono giovani e io non più e quindi li vorrei tutti morti come in uno slasher. Questa però è solo una faccenda terribilmente personale, ma cinematograficamente parlando il problema delle pellicole young adult è molto più serio, perché spesso stanno a un film come le patatine gusto pizza stanno alla pizza. O la birra analcolica sta alla birra. O i Greta Van Fleet stanno ai Led Zeppelin. Non è sempre così ovviamente. The Hunger games è un bel film (anzi, una bella trilogia), ma la mia impressione è che questa etichetta diventi più di una volta la scusa per fare film tirati via. Opere magari anche curatissime dal punto di vista estetico, ma dello spessore narrativo di un romanzo rosa comprato sul lungomare.

Esteticamente Paradise Hills è appunto una bomba. Non parliamo tanto di effetti speciali e visivi, non è quel genere di fantascienza (per certi versi è più dalle parti del fantasy), ma più che altro di scenografie, fotografia, costumi e trucco e parrucco. Una chiarezza visuale e un’estetica così accattivanti che se fosse un videogame potrebbe tranquillamente essere un episodio di Final Fantasy. Unite poi il tutto al fatto che sia stato girato sull’isola Gran Canaria, quindi in un tripudio di sole, mare e di scorci costieri incredibilmente affascinanti, e il piatto è servito. Bene, benissimo. L’immagine è tutto, no? Con questo girato da urlo, uno però deve avere anche una storia decente da raccontare, altrimenti conviene semplicemente mandare tutto quanto a Taylor Swift per farci il nuovo videoclip estivo.

Una storia in Paradise Hills c’è, e non è completamente da buttare. Siamo solo un po’ alle solite dei film young adult: c’è la distopia (con la nettissima contrapposizione tra la classe altolocata e il resto del popolo), c’è la giovane protagonista in conflitto col potere costituito (qui Uma è promessa in sposa a un rampollo di buona famiglia, responsabile del suicidio di suo padre, e ovviamente lei non ne vuole sapere), c’è la sfida da superare (nella forma di uno strano istituto di rieducazione da cui Uma deve uscire indenne) e c’è ovviamente il bel gruppetto di amiche che danno man forte (la brutta, la disadattata e la bella-un-po’-stronza).

Insomma, quella di Paradise Hills è una storia senza infamia né lode e nemmeno particolarmente originale. Il ricovero nella clinica fa ripensare a un sacco di altre storie già raccontate (recentemente A cure for wellness, altro film dalla messa in scena grandiosa e purtroppo non completamente riuscito), la Duchessa a capo dell’istituto è una figura molto simile a quella di Sorella SummerIsle in The Wicker Man (parlo della ciofeca con Nicolas Cage), l’idea del luogo per creare le donne perfette è già vista in The stepford wives, mentre il modo in cui vengono viste le donne in questa società futuristica ricorda l’arretratezza culturale in cui sprofondavano gli Stati Uniti in The Handmaid’s Tale (che ovviamente ha toni e spessore radicalmente diversi). Anche la spiegazione di quello che succede realmente nella clinica è già stato visto in altre situazioni (io lo avevo sospettato già nella prima metà del film), ma va anche riconosciuto che quello che si svela è comunque parzialmente sorprendente (non voglio fare spoiler proprio su uno dei pochi punti forti, ma non ricordo altre storie al cinema dove venisse data questa spiegazione).

Fin qui in definitiva sono tutti punti positivi o comunque difetti sui quali si potrebbe tranquillamente sorvolare. Ma questo è Paradise Hills visto solo da lontano, concentrandosi sulle sue componenti di grana più grossa. Il problema però è che poi i film si guardano da vicino e che sullo schermo ci finisce la sceneggiatura, che è fatta di quei dettagli e quelle soluzioni fini che ogni spettatore inevitabilmente nota. E a questo livello la pellicola si incarta in modo sconcertante. Non so nemmeno se sia giusto bollarlo come un problema della narrazione young adult, perché qui siamo spesso di fronte a scelte facilone più che adolescenziali. Da quando l’intrigo comincia a mettersi in moto, Paradise Hills diventa uno stillicidio di scelte e soluzioni approssimative che vi vergognereste di usare persino nella favola improvvisata per addormentare quella peste del vostro nipotino.

Gli esempi sono veramente tantissimi. C’è il fatto che alle ragazze ogni sera viene servito un bicchiere di latte e ogni santa sera queste dormono stecchite fino al mattino dopo, ma solo Uma è così sveglia da avere l’illuminazione di non berlo, per vedere l’effetto che fa. C’è lo speciale telecomando che inganna la telecamera di sorveglianza e le fa trasmettere l’immagine di una stanza vuota anziché quella reale (questo è quello a cui crede Uma, non sto scherzando), magico telecomando che poi lei ruba con destrezza al quel boccalone del suo ragazzo, perché lui lo tiene in una tasca trasparente sulla gamba più a portata di mano dei pantaloni (non sto scherzando), bramato telecomando che infine si rivela una patacca perché scagliandolo a terra si scopre pieno di sabbia (non sto scherzando). C’è Uma sveglia di notte, dopo aver volontariamente rigettato il latte drogato, che per non essere scoperta si finge addormentata in mezzo al corridoio e il personale didascalicamente ci spiega che “può capitare che il sonnifero faccia effetto più tardi, magari mentre vanno in bagno” (tuttavia, con tutte queste ragazze che si addormentano nei corridoi, nessuna di loro si è mai fatta mezza domanda). C’è persino la grotta segreta conosciuta solo dalle ragazze (almeno così fa pensare il film), dove queste abilissime esploratrici possono impunemente nascondere una barca.

Una sciatteria di scrittura come quella di Paradise Hills potrebbe, non dico passare inosservata, ma perlomeno risultare meno fastidiosa, se il film riuscisse ad appagare con grandi emozioni di genere. Gli horror scritti in modo superficiale, possono risultare digeribili se per contro sanno regalare fiumi di sangue e teste mozzate, i film di fantascienza se riescono a ipnotizzare con raggi laser, astronavi e robot assassini, i polizieschi se sono un trionfo di inseguimenti, sparatorie e auto sfasciate. In Paradise Hills invece siamo inevitabilmente dalle parti del PG-13, ragion per cui non si vede una goccia di sangue nemmeno a piangere. Quei due o tre poveri sfortunati a cui tocca morire, lo fanno come nelle opere di Puccini, senza nemmeno la gloria di un coltello piantato in mezzo all’ascella. L’ingegnosa macchina di morte escogitata dagli sceneggiatori è un letale inalatore che emette un non precisato gas velenoso e una delle ragazzine uccide un infermiere proprio così, tenendogli la mascherina premuta in faccia (non sto scherzando). L’apice di questa deprimente assenza di violenza (e di credibilità) si raggiunge nella scena in cui la Duchessa si rivela per ciò che realmente è. Una scena inizialmente non del tutto malvagia, peccato che un colpo di bisturi ben assestato trasformi in quattro e quattr’otto la malefica creatura vegetale in un’inutile siepe appassita.

In conclusione va però detta una cosa, che i più svegli avranno già chiarissima dagli screenshot: Uma è interpretata da Emma Roberts e la Duchessa da Milla Jovovich. Ecco, io rimango convinto che l’idea di mandare tutto quanto a Taylor Swift non era poi da buttare, ma diciamo che così è almeno un film più piacevole da guardare.

Un thriller di fantascienza dall’estetica affascinante, ma con la narrazione superficiale e approssimativa tipica delle peggiori opere young adult

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