ST. AGATHA – Beetlejuice

ST. AGATHA

“Tu sei immorale, corrotta e violenta.
Il tuo nome ora è Agatha”

Il cinema horror insegna un’infinità di cose utilissime, che andrebbero inserite nel programma delle scuole elementari. Uno degli insegnamenti fondamentali è quella di stare il più possibile alla larga dagli istituti, sopratutto da quelli dove non siete assolutamente certi di poter uscire o comunicare con l’esterno in qualsiasi momento. Da questo sacro comandamento deriva l’ovvia considerazione di non entrarci mai di propria spontanea volontà, men che meno firmando delle carte. Nel caso migliore cercheranno solo di spillarvi un sacco di soldi, nel caso medio finirete torturati per il sollucchero di qualche sciroccato in divisa e nel caso peggiore, beh, avete capito. Non ha importanza se si tratta un istituzione religiosa, un ospedale, un collegio, un manicomio, un circolo di avvocati o una bocciofila. Mai significa mai, anche se siete una ragazza incinta senza il becco di un quattrino e qualcuno (un prete) vi offre l’aiuto di persone caritatevoli (le suore).

St. Agatha | Recensione film

St. Agatha parte velocissimo, con un prologo agghiacciante  di pochi secondi e una messa in scena dell’ingresso della ragazza nella casa di correzione che ha i tempi di un cortometraggio. Questa velocità è una dichiarazione di intenti chiarissima del regista, che in sostanza vi sta dicendo: “Ragazzi, non fatemi perdere tempo con film di denuncia o roba del genere, questo è un horror“. E infatti in quattro e quattr’otto siete dentro all’istituto, avete conosciuto l’ambiente,  i personaggi, avete individuato vittime e carnefici e tutto quello che manca è scoprire quello che dalla notte dei tempi vogliamo sapere in qualsiasi buon thriller: come diavolo ne uscirà da questo impiccio la protagonista? Tantissime altre pellicole dallo schema simile scelgono di raccontare la cosa in modo molto più lento, con un’evoluzione progressiva della situazione e la scoperta della vera natura del luogo. Il serissimo The Magdalene sisters è sicuramente il primo film che viene in mente, ma anche altre pellicole come Stonehearst Asylum, Evil o il recente Unsane di Soderbergh hanno una gestione più raffinata dei tempi e della psicologia dei protagonisti. Il regista Darren Lynn Bousman (il regista di tre dei Saw che non contano, cioè tutti eccetto il primo) fa almeno qualche sforzo per cercare di rendere il tutto meno lineare. Intreccia al montaggio una serie di flashback per dare una risposta alla domanda: perché la nostra protagonista è arrivata lì?  Che è sicuramente una domanda molto interessante, purtroppo la risposta che viene data non lo è altrettanto. Come se non bastasse, qualche sciagurato della produzione di St. Agatha deve aver convinto Bousman che fosse un’ottima idea usare in questi salti temporali un effetto di pellicola “rumorosa” (quella che per capirci nei videogiochi viene definita film grain e che nessun videogiocatore si è mai sognato di usare davvero). Sarebbe stato più elegante inserire un titolo rosso fuoco in comic sans con scritto “Attenzione stupido spettatore, questo è un flashback”.

St. Agatha | Recensione film

St. Agatha tutto sommato qualche pregio lo ha. Riesce a tenere un bel ritmo dall’inizio alla fine ed è recitata da discreti attori, in particolare le ragazze spaventate e sottomesse e la madre superiora, dai modi apparentemente gentili ma dalla crudeltà inimmaginabile. Purtroppo nel finale emerge tutta l’amara verità su questo film,  quello che fin dalle prime scene è sempre stato il vero problema e cioè la scrittura. I difetti che vi ho raccontato sono quasi sempre sbagli a livello di sceneggiatura e sul finale questi errori si manifestano tragicamente in scene illogiche, soluzioni poco credibili e con l’apparizione dell’unico grande mostro che un film horror non dovrebbe mai presentare: il comico involontario.  A meno che non siate appassionati di film di suore terrificanti che con un Winchester riescono ad ammazzare le pulci di un cane da cinquecento yard, il finale davvero non vi andrà giù. Sarebbe stato  stonato anche in un heist movie, ma qui non davvero non regge. St. Agatha avrebbe beneficiato (forse anche meritato, visto il tema) di una scrittura più attenta e forse un po’ più impegnata. La scelta dichiarata di portare in scena più la violenza psicologica che quella fisica (che negli Stati Uniti ai tempi di #metoo pare sia meglio evitare) non è necessariamente un errore, ma allora il racconto avrebbe dovuto prendersi più tempo, lasciare più spazio all’ambiguità di personaggi e situazioni e studiare una via d’uscita della protagonista più coerente con il tipo di messa in scena.

St. Agatha | Recensione film

La cosa rattrista perché una delle sceneggiatrici è l’italiana Sara Sometti,  presente in sala durante la proiezione al TOHorror Film Fest e che, assieme al marito produttore Seth Michaels, sta cercando di portare questo tipo di produzioni in territorio italiano.  Comunque cerchiamo di fare le dovute proporzioni, per quanto St. Agatha sia un film non del tutto riuscito, stiamo parlando di una pellicola di tutto rispetto che se fosse stata prodotta in Italia si sarebbe gridato al capolavoro. E io andrei anche per una settimana di fila in sala a vederlo, se servisse a riportare nel nostro Paese una scuola che manca da almeno trent’anni, cioè da quando Argento è stato invaso da un ultracorpo.

Sì, lo so, c’è di The End? di Misischia, adesso me lo vado a vedere.

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babol81

Credo di essere stata una delle poche, uscita dalla proiezione al TOHorror, ad essermi divertita un sacco pur davanti alla brutalità di alcune scene.
Come horror di sicuro non comunica nulla allo spettatore e spesso e volentieri scade nel trash e nella faciloneria ma non mi è per nulla dispiaciuto preso come thriller sul filo del torture porn.

Entrare in una casa di correzione gestita da suore non è mai una buona idea. Purtroppo non lo è nemmeno la sceneggiatura del film.

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