A GHOST STORY – Beetlejuice

A GHOST STORY

“Quando ero piccola
ci spostavamo di continuo,
Scrivevo delle note, le accartocciavo…
e le nascondevo in posti diversi,
in modo che se fossi tornata,
ci fosse un pezzo di me ad aspettarmi”

Riflettere sull’esistenza è un tema complesso e molto personale, ma credo che per tutti quanti abbia a che fare con la stessa cosa: il grande enigma del Tempo. Una domanda che da sempre anche la scienza si fa, senza arrivare a risposte che per un individuo possano essere davvero soddisfacenti. Perché gli esseri umani sono prima di tutto memoria, e i ricordi e la loro elaborazione sono ciò che li definisce come individui.

I fantasmi dal canto loro sono archetipi antichissimi della narrativa. Esistono dal primo momento in cui l’uomo ha imparato a raccontare storie, perché nel raccontare è sempre insito il dramma della temporaneità della nostra vita. Anzi, probabilmente si raccontano storie proprio per fottere questa temporaneità, per creare realtà e personaggi immortali che non debbano mai avere a che fare con l’oblio a cui siamo destinati noi poveri mortali.

A ghost story - Storia di un fantasma - Recensione film - screenshot 8

A Ghost Story, scritto e diretto da David Lowery, naviga in queste acque burrascose, mettendo insieme i temi del tempo, dei fantasmi e dell’esistenza, per dare vita a un’opera estremamente raffinata e originale. E questo nonostante gli elementi della pellicola siano classici che più classici non si può: i due innamorati, la morte tragica, il fantasma col lenzuolo, la casa in cui è intrappolato, le manifestazioni contro i nuovi inquilini. A questo si aggiunge anche la scelta formale curiosissima di girare il tutto in 4:3, coi bordi smussati e una fotografia calda e leggermente sbiadita. Insomma, Lowery ci mette davanti a un vecchio album fotografico, una sequenza di immagini che hanno già intrinsecamente il sapore del ricordo, ne sfoglia lentamente le pagine ingiallite e ci lascia lì a osservarle per tutto il tempo che serve.

A ghost story - Storia di un fantasma - Recensione film - screenshot 3

Già, A Ghost Story è un grande gioco tra immagini e tempo (o meglio, assenza di tempo), lo stesso gioco in cui ci trascina la nostra mente quando scava nella memoria. La camera più di una volta indugia sulla scena per tempi lunghissimi, creando una composizione quasi completamente statica, da vecchio dipinto impolverato. Inquadrature che inizialmente suoneranno veramente strane, poco comprensibili, in cui, abituati come siamo al cinema-luna park, ci aspettiamo qualcosa ad effetto, un colpo di scena, un dettaglio potente. Ma la potenza è proprio tutta lì, in quella staticità, in quelle geometrie e simmetrie studiate, in quella figura del fantasma che osserva muto nell’attesa di liberarsi dalle catene di un’esistenza sospesa. La scena infinita in cui M divora bulimicamente la torta per poi stare male è un’istantanea che colpisce piano piano, un fendente al cuore, un’immagine che racchiude una vita intera. E il fantasma è come sempre lì, immobile e silente, una figura potentissima e straziante.

A ghost story - Storia di un fantasma - Recensione film - screenshot 9

Insomma, ciò che importa in A Ghost Story non è tanto la vicenda in sé, che non ha niente di speciale tra le tante storie di vita e morte che quotidianamente si mettono in scena nel mondo, ma quello che nasce dai piccoli dettagli della storia. Così c’è la canzone, quell’incredibile pezzo che C ha composto e le fa ascoltare, in un inquadratura ancora una volta lentissima e perfetta, con un montaggio non lineare che alterna passato e presente, il primo piano da brividi di M con le cuffie e quello di lei sdraiata nella casa vuota, con la mano che sfiora il lenzuolo del fantasma.

Sei in ritardo? Hai dormito troppo?
Tutti i brutti sogni sembravano reali
La tua amata è lì? Si sta svegliando?
E’ morta nel sonno? Lasciandoti da solo?
Solo…

A ghost story - Storia di un fantasma - Recensione film - screenshot 1

Parole che parlano di perdita e che lui scrive forse solo sull’onda delle emozioni del momento, perché lei vuole lasciare quella casa mentre lui per qualche motivo vuole rimanere. E qui c’ è un altro bellissimo dettaglio che ci fa pensare, il suo restare attaccato alla casa per motivi a lui stesso non del tutto comprensibili. C’è sicuramente qualcosa di banale, di quotidiano, la semplice pigrizia maschile o l’esigenza dell’artista di costruire il proprio nido creativo e rimanerci all’infinito, ma non è tutto qui. Lui sente che in quella casa c’è una storia, forse non è nemmeno solo la loro storia, ma è qualcosa da cui non riesce a staccarsi con tanta leggerezza. E quando finalmente decide di farlo, lo farà per l’ultima volta da vivo per poi tornare da fantasma.

A ghost story - Storia di un fantasma - Recensione film - screenshot 6

E c’è quel dettaglio che se vogliamo è un po’ il mac-guffin di A Ghost Story, la mania di M di nascondere sempre un bigliettino nelle case da cui se ne va, per lasciare qualcosa di lei ad aspettarla nel caso ritornasse. Un frase, un pensiero, un ricordo, che il fantasma cerca in continuazione di estrarre da quella piccola fessura dove lei anche stavolta l’ha nascosto. Una scena ricorrente che inizialmente forse non vi dirà nulla nella sua semplicità, ma che fotogramma dopo fotogramma, anno dopo anno, si chiarirà e diventerà una delle immagini più strazianti e riuscite del film (l’invasione improvvisa della ruspa, che lo sorprende lasciandolo solo in mezzo alle macerie, fa davvero male al cuore).

Non ci sono molte parole in A Ghost Story, i dialoghi sono pochi e quasi sempre sottovoce, ma quando qualcuno parla è sempre per un motivo. La padrone di casa che dice “È sempre stato qui”, sta parlando del pianoforte, ma è impossibile non collegare quelle parole al fantasma, quando viaggiando nel tempo è tornato di nuovo al momento in cui M e C visitano la casa per la prima volta. E poi c’è quel magnifico, monumentale dialogo in primo piano dell’ubriaco alla festa, quel fiume di parole tra logica e pazzia che descrivono il dramma di ogni essere umano nella sua disperata ricerca di lasciare traccia in questo universo.

Tutto ciò che hai creato, che ti ha fatto diventare importante, svanirà…
Ogni atomo in questa dimensione sarà spazzato via come nulla fosse.
E tutte quelle minuscole particelle si uniranno nuovamente
e l’universo intero verrà risucchiato in qualcosa che sarà troppo piccolo da vedere.
Quindi puoi scrivere un libro… ma le pagine bruceranno.
Puoi cantare una canzone e farla ascoltare agli altri.
Puoi creare un’opera teatrale sperando che venga ricordata… continuando ad eseguirla.
Puoi costruire la casa dei tuoi sogni…
ma alla fine nulla esisterà più dello scavare con le mani per costruire una staccionata.

O… scopare.

A ghost story - Storia di un fantasma - Recensione film - screenshot 5

In A Ghost Story il tempo non esiste, o meglio il tempo esiste già tutto quanto, e il fantasma ci passa attraverso come una piuma trascinata dal vento. Ci sono momenti in cui lui rimane fermo nello stesso punto a osservarla giorno dopo giorno e ci sono al contrario ellissi temporali lunghissime, in cui passano anni, a volte anche decenni o secoli. Perché lui è lì, in attesa che succeda qualcosa, forse solo di capire cosa deve succedere. Il fantasma della casa di fronte era in attesa di qualcuno, anche se non ricorda più chi, e svanisce pronunciando le parole “Non penso che verranno”. Forse allora anche lui sta aspettando qualcuno e questo qualcuno non verrà, forse deve solo arrivare a convincersi che nessuno verrà più per lui. Il finale di A Ghost Story non poteva che essere bellissimo, struggente ed enigmatico come lo è qualsiasi sincera riflessione esistenzialista. Sul bigliettino nascosto nella fessura, che M ha scritto di getto dopo aver letto le parole di Virginia Woolf, potrebbe esserci scritto di tutto, persino una prova che lei ha intuito che il libro non è caduto per caso, che “Il nostro Tesoro” al centro della pagina aperta era riferito a loro due. Ma non ha importanza, quello che capiamo è che quelle parole, ricordandolo, lo hanno liberato finalmente dalle maglie del Tempo.

Se apprezzate questo genere di film, che come avrete capito sta agli antipodi di qualsiasi film horror, vi consiglio caldamente anche I am the pretty thing that lives in the house di Oz Perkins, altro esempio clamoroso di come fantasmi ed esistenzialismo siano la coppia più bella del mondo.

3.3 3 voti
Voto all'articolo
2 Commenti
più vecchi
più nuovi più votati
Inline Feedbacks
View all comments
Pietro Sabatelli

Un film angosciante ma bello, non un capolavoro secondo me, però un film capace di rimanere indelebile nella mente 😉

Una pellicola che, partendo dagli elementi classici delle storie di fantasmi, mette in scena un’elegante e bellissima riflessione sull’esistenza

Tags

GENERI